I dati comunicati ieri dalla motorizzazione civile presentano uno scenario drammatico: -24,42% di immatricolazioni rispetto al giugno scorso è una cifra che evidenzia l’esistenza di un problema enorme. Vincenzo Borgomeo, penna di Repubblica Motori, addirittura paragona il mercato auto al Titanic e chiede l’aiuto del “pubblico” per trovare una soluzione.
Federauto, intanto parla di “settore vicino al collasso” e chiede nuove misure di sostegno alla domanda per facilitare l’acquisto di nuove automobili. In poche parole, l’Italia è il secondo paese in Europa con il più alto tasso di motorizzazione (dopo il Lussemburgo), i costruttori ci dicono che non ne abbiamo abbastanza e dobbiamo comprarne di più. Chissà in che modo, questa volta, ci invoglieranno o costringeranno a comprare nuove auto. Dichiareranno illegali le auto più vecchie di 10 anni? Obbligheranno tutti i cittadini maggiorenni a comprare un automobile? Ci vieteranno di andare a piedi o in bicicletta?
Qualunque cosa decidano di fare i nostri governanti a sostegno del mercato dell’automobile altro non sarà che una sorta di accanimento terapeutico nei confronti di un settore che da anni sta mostrando i propri limiti e che deve segnare il passo.
Ken Organski, uno dei più grandi teorici delle relazioni internazionali, coniò l’espressione “fattore fenice” per spiegare l’enorme crescita economica registrata da Germania, Italia e Giappone dopo la fine della seconda guerra mondiale: dopo essere state portate al collasso da un conflitto di dimensioni immani, le economie nazionali sono ripartite con una vitalità inaspettata, stimolate da una domanda senza precedenti.
In Italia oggi il mercato della mobilità offre delle opportunità di crescita enormi e che possono ricordare il “fattore fenice” di Organski. Per capire quali siano queste opportunità, basta fare un confronto con le grandi città europee: il rapporto tra trasporto pubblico e trasporto privato a Roma è 28 a 72 mentre a Londra è 50,1 contro 49,9, a Parigi 63,6 contro 36,4, a Berlino 66 contro 44, a Barcellona 67 contro 32.
Questi dati ci dicono che siamo estremamente indietro nello sviluppo del trasporto pubblico ma allo stesso tempo ci mostrano una direzione in cui andare per far ripartire la nostra economia. Inoltre, considerata la nostra arretratezza nel settore, beneficeremmo del vantaggio dei “second comers” potendo sfruttare a nostro beneficio le scoperte e gli errori altrui.
Continuare a sovvenzionare l’industria dell’automobile con soldi pubblici in questo momento sarebbe come se alla fine degli anni ’90 qualcuno si fosse ostinato a sostenere la domanda di videoregistratori nella speranza che il trend di mercato prima o poi cambiasse.
Adesso occorre compiere delle scelte che 40 anni fa avremmo definito “folli”, 20 anni fa avremmo giudicato “coraggiose”, ma che oggi sono obbligate e a prova di idiota. Idiota, proprio come la scelta di chiudere l’Irisbus di Fumeri, unico stabilimento del gruppo Fiat a produrre autobus in Italia, e di lasciare a casa i suoi 658 operai.