Una collaborazione di giustizia, Giuseppina Pesce, ne aveva parlato poco meno di due mesi fa: la ‘ndrangheta e la Cassazione. Ma quello probabilmente non è l’unico episodio di tentativo di infiltrazione della organizzazione criminale calabrese tra i supremi giudici. C’è una inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, riporta oggi il quotidiano La Repubblica, che punta a Roma, a piazza Cavour. Leggendo migliaia di pagine di intercettazioni ambientali in carcere tra il “prestanome” della cosca Tegano di Reggio Calabria, Giuseppe Rocco Rechichi ex dirigente della Multiservizi del comune di Reggio Calabria, e la moglie Maria Lisa Petraia, che adesso è stata denunciata per favoreggiamento, che è spuntata al talpa che poteva aiutare la cosca. L’indagine, coordinata da Giuseppe Pignatone ex primo pm di Reggio ora capo della Procura di Roma e al sostituto Giuseppe Lombardo, ha permesso identificare il magistrato della Cassazione che avrebbe dispensato “consigli” giuridici a Rechichi, assicurandogli che il provvedimento di custodia cautelare in carcere sarebbe stato annullato. Così è stato anche se poi la decisione del carcere è stata nuovamente confermata con il ricorso degli inquirenti.
La toga romana veniva chiamata da Rechici il “medico di Roma” e il detenuto chiedeva in continuazione alla moglie se aveva trovata la “cura”. La signora non era malata, ma la cura – che prevedeva di far sapere il numero della pratica “medico” – stava procedendo come poi gli investigatori della Squadra Mobile hanno potuto verificare. Il magistrato compiacente potrebbe essere una donna probabilmente di origini calabresi. Sapere quando riceveva la moglie di Rechichi è difficile perché la moglie del detenuto viaggiava sempre senza cellulare e si spostava in treno.
La Cassazione risponde con una nota a questo sospetto. “La natura e il contenuto dei provvedimenti giurisdizionali, il fatto che essi siano ascrivibili a Collegi diversi, di Sezioni diverse della Corte, e infine la loro corrispondenza ad orientamenti consolidati della giurisprudenza della Corte stessa, escludono in radice, ogni possibile sospetto di aggiustamento dei processi riguardanti il Rechichi. ‘Dalle verifica immediatamente compiuta – spiega la nota – sono risultate esclusivamente due recenti pendenze definite con le sentenze n. 8694 del 2012 decisa il primo febbraio 2012 dalla Prima sezione penale, e la n. 23265 del 2012 decisa il 19 aprile 2012 dalla Sesta sezione penale”. Con la prima sentenza “è stata annullata con rinvio l’ordinanza emessa l’otto giugno 2011 dal tribunale di Reggio Calabria in sede di riesame. La decisione della Cassazione – rileva la nota dell’ufficio stampa di Piazza Cavour – è fondata su un consolidato orientamento della Corte, convalidato anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo cui, qualora un detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, abbia avanzato motivata richiesta (come era nel caso di specie) di essere sentito personalmente, il giudice è vincolato, a pena di nullità, a disporne la traduzione davanti a sé, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale. Quanto alla notizia che il Tribunale del riesame di Reggio Calabria avrebbe confermato nuovamente l’ordinanza annullata dalla Corte di Cassazione, non risulta allo stato iscritto, nel registro del Ruolo generale della Corte, alcun procedimento”. La seconda sentenza, invece, “ha dichiarato inammissibile il ricorso del Rechichi avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria del 16 dicembre 2011, confermativa della misura cautelare relativa all’accusa di intestazione fittizia di beni compiuta al fine di consentire ad altri di eludere le disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniali. La sentenza ha ritenuto – conclude la nota – anche qui su conformi conclusioni del Procuratore generale e in linea con un consolidato orientamento della Corte, la congruità e la logicità della motivazione dell’ordinanza impugnata”.