In una intervista a un giornale turco, il presidente siriano si dice dispiaciuto per l'abbattimento del caccia di Ankara dello scorso 22 giugno. Un segnale al premier della Turchia, un tempo buon alleato, e un tentativo di allontanare un possibile conflitto. Intanto Human Rights Watch denuncia la presenza di almeno 27 centri di detenzione sul territorio siriano
Il presidente siriano Bashar Assad ha affidato al giornale turco Cumhuriyet la sua prima dichiarazione sull’incidente dello scorso 22 giugno, quando le forze di sicurezza siriane hanno abbattuto un caccia F4 turco in missione di ricognizione. Secondo il giornale turco, Assad ha detto di essere «rammaricato al 100 per cento» per l’abbattimento dell’aereo che, secondo lui, stava volando in una zona che in passato era stata usata dall’aviazione israeliana. «Non consentiremo che questo incidente possa trasformarsi in combattimenti aperti tra i due paesi», ha detto ancora Assad nell’intervista, anche se il giornale turco non ha precisato quando e dove sia avvenuta l’intervista, pur pubblicando una foto del presidente assieme a uno dei giornalisti.
Le timide “scuse” di Assad sono il primo concreto segnale di distensione tra Siria e Turchia, dopo settimane di botta e risposta, e dopo la decisione turca di rischierare i caccia F16 a ridosso del confine. Assad ha cercato di raffreddare la tensione tra i due paesi, un tempo buoni alleati, dicendo che la Siria non ha intenzione di rafforzare il proprio dispositivo militare sul confine. «Vogliamo pensare a un errore del pilota e vogliamo considerarlo un incidente isolato, che non deve essere esagerato – ha detto ancora Assad – l’identità dell’aereo è stata chiara solo dopo che era stato abbattuto e dico che al cento per cento che non avremmo voluto farlo».
Nell’intervista, il presidente siriano spiega che quella rotta sul confine delle acque territoriali siriane era stata usata dai caccia israeliani, nel 2007, in un raid contro un impianto siriano che il governo israeliano sospettava fosse usato per un programma nucleare: «L’aereo stava volando su una rotta usata in passato tre volte dai caccia israeliani. I soldati lo hanno abbattuto perché non lo vedevamo sui nostri radar e perché non avevamo alcuna informazione. Ovviamente sarei stato contento se fosse stato un aereo israeliano – ha detto ancora Assad nell’intervista, prima di lanciare una frecciata al governo di Erdogan – se la Turchia non avesse deciso di interrompere le relazioni militari con la Siria, avremmo potuto discutere dell’incidente, ma negli ultimi mesi non abbiamo non abbiamo molti ufficiali turchi da poter chiamare in caso di emergenza».
Secondo la versione siriana, il caccia è stato abbattuto non da un missile, ma da una mitragliatrice antiaerea, la cui gittata massima è di 2 chilometri e mezzo, quindi l’F4 volava ben dentro lo spazio aereo delle acque territoriali siriane. Ankara, invece, sostiene che il caccia non ha ricevuto alcun “avviso” dai radar siriani e che stava già lasciando lo spazio aereo siriano quando è stato abbattuto, sul limite delle acque internazionali. Al di là delle versioni divergenti, però, il segnale da Damasco è abbastanza chiaro e tocca adesso ad Ankara scegliere se accettare lo spiraglio di Assad e far calare la tensione, anche se il presidente siriano non è arrivato a offrire scuse esplicite.
I giornalisti di Cumhuriyet hanno anche chiesto al presidente a quali condizioni sarebbe disposto a lasciare il suo incarico. Assad ha risposto: «Perché dovrei voler rimanere al potere se salvare il mio popolo e il mio paese dipendesse soltanto dalla mia presenza? Non resterei nemmeno un giorno. Se il popolo vuole, può spingermi ad andare via».
Una parte consistente di quel popolo, comunque, ci sta provando da quasi sedici mesi. E secondo l’ultimo rapporto diffuso oggi da Human Rights Watch, la risposta messa in piedi dall’apparato di sicurezza che fa capo al presidente passa anche da almeno 27 centri di detenzione e tortura, le cui attività sono state documentate attraverso 200 interviste condotte dai ricercatori di Hrw a persone che hanno subito torture. Per Hrw è abbastanza per un nuovo giro di sanzioni internazionali sui responsabili della gestione dei centri e sui vertici degli apparati di sicurezza e per avviare un’indagine del Tribunale penale internazionale denunciando le autorità di Damasco per crimini contro l’umanità. La Siria, tuttavia, non ha ratificato il Trattato di Roma che ha istituito il Tpi e quindi potrebbe essere deferita alla Corte solo con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il che riporta al centro della discussione la posizione della Russia: «La Russia non dovrebbe continuare a stendere la sua ala protettiva sulle persone responsabili di tutto questo – ha commentato Ole Solvan di Human Rights Watch presentando il rapporto alla stampa internazionale – l’estensione e la disumanità di questo network di torture sono veramente orribili».
di Joseph Zarlingo