C’è una magia nella voce e nelle chitarre che pare a tratti recuperare le sonorità calorose e dirette di un tempo in cui il rock era anagraficamente ancora piuttosto giovane ed indomito – tendenza che da un po’ di anni a questa parte molte band sembrano tentare di ripercorrere – ma anche una irresistibile vena lo-fi dolcemente malinconica ed indolente che costituisce il suo tratto più distintivo. Avvertenza per i teneri di cuore: questo è un songwriter di cui ci si può innamorare follemente… un attimo e paf, siete caduti nella sua rete senza nemmeno accorgervene.
La vicenda musicale di Kurt Vile (mi raccomando, attenzione allo spelling, Kurt Weill era davvero tutta un’altra cosa) inizia in compagnia dell’amico Adam Granduciel in quel di Philly: a metà dello scorso decennio i due cominciano a suonare come The War On Drugs e pubblicano per Secretly Canadian un bell’album intitolato Wagonwheel Blues che tra gli altri strizza certamente l’occhio a quel tale di Duluth nato Robert Zimmerman ma anche ad un altro tizio che chiamano il Boss, uno nato anche lui negli USA e che guidava da una parte all’altra del Nebraska. Nel loro primo disco già si percepiscono le radici di ciò che sancirà tre anni dopo il capolavoro di Kurt Vile. Perché a quel punto il Nostro, che nei War on Drugs se ne sta buono buono alla chitarra elettrica, decide di assumere anche un ruolo da protagonista, intraprendendo la propria carriera solista.
Constant Hitmaker vede la luce in quel medesimo 2008 ed è caratterizzato da un folk piuttosto scarno ed essenziale, che in qualche caso assume persino le sembianze di un immaginario Raymond Carver sulle orme di John Fahey (Slow Talkers), e da altri ameni quadretti a bassa fedeltà. Il successivo God Is Saying This to You, uscito l’anno successivo su Mexican Summer, si muove più o meno su questa linea pur se in certi frangenti come Beach on the Moon e My Best Friends c’è già dispiegata in forma più grezza tutta la sua identità poetica che troverà presto forma compiuta.
Il suo sound acquisisce un’altra corposità con il passaggio alla Matador, etichetta che gli può assicurare una diversa produzione. La sua backing band, i Violators, fa sentire in più di un’occasione il proprio peso nel contesto di Childish Prodigy, il terzo disco: tra le curiosità esiti addirittura in stile krautrock come il motorik di Freak Train e da segnalare anche una cover di un pezzo dei Dim Stars, misconosciuto supergruppo meteora dei primi novanta, composto, pensate un po’, da Richard Hell insieme a Thurston Moore e Steve Shelley dei Sonic Youth. Col senno di poi tuttavia ancora non ci siamo, lo stile e la scrittura sono ancora parzialmente involuti.
Ci pensa il suo quarto album, Smoke Ring For My Halo (Matador, 2011), a far piazza pulita di ogni dubbio: una tracklist vertiginosa, da Baby’s Arms a Jesus Fever, On Tour, Society Is My Friend… la forza emotiva comunicativa cristallina di Kurt Vile in tutto il suo fulgore, una chitarra che infilza e trapassa letteralmente il cuore, lasciandoci esterrefatti senza riuscire a proferir parola. Alla sapiente produzione John Agnello, già al lavoro in passato con Dinosaur Jr., Jawbox, Sonic Youth, Mark Lanegan e molti altri. Da non trascurare l’EP So Outta Reach recentemente pubblicato sempre da Matador a perfetto complemento di uno dei dischi più intensi e toccanti ascoltati negli ultimi anni.
Kurt Vile & the Violators in concerto mercoledì 4 luglio nel quadriportico di vicolo Bolognetti, per Bolognetti Rocks / Rocker Festival.