Qualche tempo fa sono andata, insieme ad altri rappresentanti del settore produzione, al Ministero dei Beni Culturali, precisamente presso la Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo, per un incontro con i dirigenti del comparto danza per discutere delle varie problematiche del settore.
Sul tavolo della riunione ci aspettavano delle cartelline contenenti un progetto del Codacons (Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell’Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori) il cui titolo era il seguente: Progetto stato nutrizionale, anoressia nervosa, disturbi del comportamento nel settore danza. All’interno della cartella c’era una richiesta del Codacons al Ministro della Salute Balduzzi, al Ministro del Lavoro Fornero e al Ministro dei Beni Culturali Ornaghi per il patrocinio sul progetto che prevedeva un monitoraggio sui giovani studenti di danza in età compresa tra i 9 e i 35 anni, professionisti e non. Sempre all’interno della cartella c’era una nota del Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo Nastasi che si impegnava a promuovere iniziative di sensibilizzazione presso i soggetti operanti nella danza finanziati dal suo dipartimento.
Quando sono uscita, con la mia cartellina sotto il braccio, ho pensato che in effetti la campagna di sensibilizzazione, almeno su di me, aveva funzionato, perché non riuscivo a smettere di pensare al rapporto tra danza e anoressia. Ma più ci pensavo e più mi si confondevano le idee, perché proprio non mi riusciva di trovare un collegamento diretto. Piuttosto continuavo a pensare al rapporto tra donne e anoressia.
Per quanto ho potuto vedere in tanti anni che lavoro per la danza la verità è che non c’è molta differenza tra mondo della danza e resto del mondo rispetto al problematico rapporto che le donne, soprattutto le giovani donne, hanno con il cibo e con il proprio corpo.
Spesso ho sentito dire che per essere una perfetta ballerina classica non bisognava avere seno, fianchi, curve. Ma anche che per alcune tecniche di contemporaneo è meglio se il corpo della danzatrice sia più lineare che curvilineo. Eppure è chiaro che i corpi femminili, anche quando sono molto magri, tranne alcune eccezioni, sono fatti più di curve che di linee. Mentre il contrario accade per i corpi maschili.
Allora mi chiedo come mai, ancora una volta, è dalla negazione del corpo femminile che debba passare il concetto di “bellezza”: una ballerina è tanto più bella tanto meno somiglia ad una donna. E’ tanto più giusta per la danza tanto più è riuscita a far scomparire tutti i tratti distintivi del suo essere femminile.
Ma certamente non si può relegare questa problematica all’universo della danza. E’ solo lo specchio della realtà, come d’altronde è normale che sia l’arte. Il mondo della danza riproduce le stesse meccaniche del nostro ambiente sociale. Sono certa che non sia un caso che non venga considerato perfetto per la danza un corpo fatto di curve e che non si faccia pressione sui danzatori maschi perché il loro corpo perda le specificità di genere, diventando un corpo più simile a quello femminile.
Non credo che le danzatrici siano diverse dalle altre donne: come quasi tutte sono disposte a qualsiasi sofferenza pur di adeguarsi ad un modello, sia questa sofferenza un’estenuante dieta che può sfociare nell’ossessione che può arrivare all’anoressia, piuttosto che una dolorosissima ceretta perché è stabilito che se un corpo maschile può essere bello anche coi peli quello di una donna deve essere necessariamente liscio e glabro.
Pur amando la bellezza della danza sulle punte, mi sono più volte interrogata sul perché siano solo le donne a dover affrontare il dolore che indossare le punte comporta. Come mi sono chiesta perché nella vita fuori dal palcoscenico siano solo le donne a dover camminare su tacchi vertiginosi che allungano, slanciano, migliorano la linea della gamba.
La bellezza femminile, senza dover arrivare agli orrori dei piedi fasciati delle bambine cinesi o ai colli allungati delle donne africane, sembra sempre dover passare dalla rinuncia, dalla negazione, dal dolore. E questo non vale certo solo per il mondo dello spettacolo. Allora penso che quello che occorrerebbe davvero monitorare non siano i giovani danzatori, ma la percezione che hanno di sé tutte le donne, sin da bambine, quando già alle elementari si sentono brutte, grasse e inadeguate.
Proprio qualche giorno fa, parlando con una undicenne, la sentivo preoccuparsi del fatto che la sua pancia non era perfettamente piatta. Eppure non studiava danza.
Forse è solo che la danza, essendo spettacolo, si mostra, non si nasconde e svela all’esterno oltre alla sua bellezza anche i suoi orrori.