Il 20 giugno scorso ho avuto modo di partecipare, in maniera fortuita, al corteo dedicato alla tratta delle donne immigrate che si è svolto al Foro Italico di Palermo a ridosso del prato, sugli stessi marciapiedi dove giovani donne immigrate si prostituiscono tutte le sere dell’anno, tranne quella.
Quella sera, anche i più incalliti frequentatori, hanno disertato l’appuntamento con le lucciole ma la cosa più sbalorditiva è la mancata presenza dei gruppi, movimenti, associazioni, preti, monaci, suore e comunità ecclesiali: un’assenza che per un bel tratto era stata mitigata dal buio della strada, ma arrivati al molo del porticciolo turistico della Cala, lì ci siamo contati e ci siamo accorti che eravamo circa 30 persone, compresi immigrati e qualche addetto ai lavori e forze dell’ordine.
Ma la cosa più sconcertante è che questa marcia, inserita nella giornata dedicata alle donne immigrate è stata organizzata dalla Caritas Diocesana di Palermo. Allora mi chiedo: è questa la capacità di coinvolgimento della Caritas Diocesana? Sarebbe bastato che il direttore chiamasse all’appello tutti gli operatori, e i volontari che in essa lavorano per avere molte più presenze. Sarebbe bastato, sensibilizzare tutte le associazioni cattoliche che a vario titolo si occupano di immigrazione e non, per dare senso a quella marcia. Invece quella sera, quelle assenze hanno squarciato un velo di perbenismo e bigottismo: si, molti dei frequentatori di quei marciapiedi, delle “nostre sorelle lucciole immigrate”, sono cattolici e cristiani.
Colgo l’occasione della prossima beatificazione di Padre Pino Puglisi per ricordare uno dei suoi insegnamenti: “… non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte questa iniziative hanno valore, ma se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”.