I destinatari sono militari e civili malati di tumori e linfomi ma molto più spesso le loro famiglie. Perché le vicende e le battaglie sono così lunghe che in gran parte i risarcimenti arrivano dopo la morte. Passano anni da quel periodo trascorso in servizio all’estero nelle missioni di pace o dal periodo di leva nei poligoni italiani, in gran parte in Sardegna. Ora nell’elenco dei tagli previsti dal governo tecnico di Monti ci sarà anche il Fondo per le vittime da uranio impoverito. Una sforbiciata di circa la metà: da 21 milioni di euro a 11 per il 2012, di cui 9 già erogati per coprire circa 600 domande. Tutto ciò è contenuto nella bozza del decreto legge del governo Monti. Tra i buoni pasto degli statali e le ferie obbligate per risparmiare si tagliano i soldi per chi si è ammalato dopo aver prestato servizio per lo Stato, secondo la lista per la spending rewiew (revisione spesa pubblica) preparata dal supercommissario Enrico Bondi.
“Come si fa a tagliare sulla pelle dei malati di tumore e leucemie per colpa dello Stato?” tuona Falco Accame, presidente dell’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti (Anavafaf), militare di professione, ex parlamentare socialista, presidente della commissione Difesa negli anni ’80, da sempre impegnato in prima linea per i diritti dei militari. “Potrei capire questa scelta da un governo politico, ma da uno tecnico di certo no. Quel fondo è stato voluto nel 2008 dall’allora ministro alla Difesa La Russa. Ora si vuole tornare indietro, una scelta ignobile. Perché – continua – risarcire è ammettere di non aver protetto i militari e civili in servizio e aver omesso delle informazioni sui pericoli reali”.
Accame sottolinea anche come sia riduttiva la dicitura “uranio impoverito“, perché, ricorda, al momento della stessa istituzione del fondo (Finanziaria 2008: interventi sulle missioni) si è deciso di citare anche “la dispersione di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico”, come cause di malattie letali, ossia cadmio, nichel, torio e altre sostanze chimiche cancerogene. Non solo di uranio impoverito si muore. Una realtà accertata anche dal progetto Signum, uno Studio di Impatto Genotossico nelle Unità Militari promosso nel 2004 dalla della Difesa sui militari impegnati in Iraq nell’operazione “Antica Babilonia“: un progetto terminato l’anno scorso ma finora mai pubblicato dal ministero. Gli indennizzi previsti dal fondo vanno sia ai “militari impegnati di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale”.
“Anziché tagliare le spese per danni provocati”, secondo Accame, “sarebbe meglio ridurre quelli per le spese e sperperi militari. Perché se no qui si rimarca ancor più pesantemente la distinzione tra militari di serie A, gli eroi caduti in Afghanistan, da piangere, e quelli di sere B, ammalati e morti di linfomi contratti dopo le missioni, da nascondere”. L’associazione propone la sospensione delle parate militari e delle varie manifestazioni celebrative, e ancora la privatizzazione, delle Frecce Tricolori e della portaerei Cavour, definita “espressione di falsa grandeur”. Da abolire le strutture di comando periferico, da ridurre le “forze di proiezione” per l’impiego all’estero: “La Costituzione – osserva Accame – prevede per le forze armate il dovere di difesa del suolo patrio”.
E poi il riferimento ai poligoni e all’inchiesta per disastro ambientale del pm di Lanusei, Domenico Fiordalisi. Di recente è stato aperto un nuovo filone su un appalto presumibilmente “pilotato” sulle analisi all’interno del poligono di Quirra. “Appalti a trattativa privata” che, per il presidente Accame, andrebbero “riesaminati e bloccati, così come il complesso militare industriale del quale gli effetti deleteri sono noti”. Da rivedere anche le concessioni di servizi militari a ditte civili con apposite convenzioni e ridimensionate le basi straniere in Italia che assorbono ingentissime risorse. E poi i progetti di acquisto come, ad esempio, quelli delle “Fregate Fremm, degli aerei F15, dei radar tabulari di potenza, del sistema di difesa antimissili Meads“. Alternative di risparmio che, al momento, non sono contemplate.
Punta alla marcia indietro l’avvocato dell’Associazione Vittime Uranio, Bruno Ciarmoli: “Facciamo appello alle forze politiche perché i benefici introdotti dopo anni di battaglie siano mantenuti. Si tratta di almeno 2.000 militari gravemente malati ai quali lo Stato non ha mai riconosciuto alcuna forma di assistenza”.
Le ultime cifre ufficiali di militari o civili ammalati a causa del presunto contatto con uranio impoverito o nanoparticelle sono anche più alte. Quelle che cita Accame si riferiscono all’audizione in Senato del colonello Roberto Biselli, direttore dell’Osservatore epidemiologico della Difesa: 3 mila e 671 casi dichiarati. E ottenere il risarcimento non è certo una passeggiata: l’ultimo decreto, un mese fa, è stato recapitato alla madre di Fulvio Pazzi, militare volontario in ferma breve. Dopo una missione in Bosnia si è ammalato di linfoma di Hodgkin ed è morto nel 2003. Ci sono voluti nove anni e sette dinieghi, ora è “una vittima del dovere”.
Sul piede di guerra anche il senatore Pd Gian Piero Scanu, componente nella Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, che ha presentato una relazione sul ridimensionamento e conversione delle basi sarde votata all’unanimità a fine maggio. Il senatore ha chiesto e ottenuto da parte del presidente Costa che il governo venga convocato. Allarme anche in Sardegna: “Una decisione che riguarda decine di famiglie sarde, i cui cari si sono ammalati in missione o nei poligoni dell’isola. Gli ultimi due casi in Sardegna sono stati denunciati dall’Associazione vittime uranio ad aprile” denuncia il il presidente della commissione Politiche sociali della Provincia di Cagliari Emanuele Armeni (Pd), che ha pronta un’interrogazione urgente.