Oltre 500 figli di detenuti portati via e affidati a famiglie di militari e poliziotti. Solo 100 hanno scoperto la loro vera identità. La corte Federale argentina ha stabilito i piccoli rubati alle loro sono da considerarsi vittime di “un piano orchestrato, in base a ordini impartiti dai vertici delle giunte militari”
Erano ladri di bambini. E ora per loro è arrivata la condanna. Il primo e l’ultimo dei presidenti della dittatura militare argentina, Jorge Rafael Videla e Reynaldo Bignone, sono stati condannati rispettivamente a 50 e 15 anni di carcere da un tribunale di Buenos Aires, al termine del primo processo dedicato esclusivamente a uno degli aspetti più terribili e disumani del terrorismo di Stato del regime durato dal 1976 al 1983: il furto di figli di detenuti “desaparecidos”, affidati successivamente a coppie che cambiavano la loro identità. Anche altri responsabili della dittatura militare hanno ricevuto pesanti condanne, accolte con applausi nell’aula del tribunale da figli di “desaparecidos” che hanno recuperato la loro identità, da rappresentanti delle “Madri e le Nonne della Plaza de Mayo” (associazioni nate per difendere i diritti dei detenuti e delle loro famiglie) e da militanti per i diritti umani. Nel testo della sentenza, la corte Federale argentina ha stabilito che i circa 500 bambini rubati alle loro madri dopo il parto – avvenuto in quasi tutti i casi in centri clandestini di detenzione, creati dai militari per torturare ed eliminare i prigionieri catturati senza mandato giudiziario – sono da considerarsi vittime di “un piano orchestrato, in base a ordini impartiti dai vertici delle giunte militari” che governarono l’Argentina durante la dittatura.
Durante il processo, gli accusati avevano ammesso l’esistenza di casi di furti di bambini nati nelle carceri segrete della dittatura, sostenendo però che si era trattato di casi isolati, e non di un piano sistematico messo a punto dai responsabili del regime militare. Le Nonne di Plaza de Mayo – che finora sono riuscite a rintracciare oltre 100 bambini rubati, per restituire loro l‘identità e la storia della loro vera famiglia – hanno accolto il verdetto del tribunale come “una sentenza storica”, ricordando che dietro a ognuno dei figli di “desaparecidos” che ha recuperato la sua identità si trova una storia reale, personale e drammatica di negazione, menzogna sistematica e silenzio di un’intera società. La maggior parte dei figli di “desaparecidos”, nati quando le loro madri erano detenute illegalmente – e molte volte uccise subito dopo il parto – sono stati affidati a famiglie di militari, poliziotti o persone in qualche modo legate all’apparato repressivo della dittatura. Per questi ex bambini rubati, la riscoperta della propria identità e storia familiare comporta molte volte un trauma psicologico considerevole.
Per l’ex generale Videla, 87 anni, la condanna ricevuta oggi, che si somma ad altre per gravi violazioni dei diritti umani durante il suo governo, corrisponde di fatto a un ergastolo. Oltre ai responsabili militari, colpevoli di aver dato gli ordini che hanno portato al furto sistematico dei bambini, sono stati condannati anche esecutori e complici di questo piano: dal dottore che si occupava delle gravidanze nel centro di detenzione della Scuola di Meccanica della Marina (ESMA, nella sua sigla in spagnolo), a una donna che intermediava fra i rapitori dei bambini stessi e le famiglie a cui erano illegalmente affidati.