Appello ai vertici di polizia e istituzioni per ricordare il 7 luglio 1960 quando 20mila persone scese in piazza per protestare pacificamente contro il governo Tambroni, sostenuto dall'Msi, vennero caricate senza motivo dalla Celere e furono bersaglio delle loro pallottole. Morirono in 5 e da allora nessun colpevole
I fatti. Solo pochi giorni prima, il 30 giugno, Genova, dove il partito neofascista aveva deciso di tenere il suo sesto congresso, era stata teatro di violenti scontri tra polizia e manifestanti antifascisti. Un congresso del Msi in una città medaglia d’oro della Resistenza era un’offesa alle centinaia di antifascisti genovesi che dopo il 1943 erano stati deportati nei campi di concentramento tedeschi per ordine dell’ex Prefetto della Repubblica di Salò che i missini avevano chiamato a presiedere il loro sesto congresso.
I “morti di Reggio Emilia” furono preceduti da scontri in tutta Italia: a Licata, nell’Agrigentino, una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro fu caricata selvaggiamente dalla polizia. Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dalla Celere, fu ucciso. I sindacati reggiani avevano organizzato una manifestazione per il pomeriggio del 7 luglio in quella che allora era Piazza Cavour (e oggi dedicata ai Martiri).
Le vittime. Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti, al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico, mosse contro i partecipanti. Anche i carabinieri parteciparono alla carica. Il primo a cadere fu Lauro Farioli, 22 anni, colpito in pieno petto mentre dal sagrato della Chiesa di San Francesco si lanciava incredulo verso i poliziotti in un disperato tentativo di fermarli. Marino Serri, 40 anni, operaio ed ex partigiano, che aveva assistito alla scena, col volto rigato da lacrime di rabbia, si espose gridando “Assassini, assassini!”. Una raffica lo colpì a morte. Ovidio Franchi, operaio di 19 anni, ferito all’addome, si aggrappò ad una serranda mentre un compagno cercava di soccorrerlo ma un poliziotto sparò su entrambi, uccidendo Ovidio. Le altre due vittime furono Emilio Reverberi, 39 anni, anche lui operaio ed ex partigiano, e Afro Tondelli, operaio di 35 anni, assassinato da un poliziotto, che si era inginocchiato per prendere la mira.
Assolti. Il vicequestore Panico fu incriminato per omicidio colposo plurimo, la guardia di P.s. Orlando Celani fu processato per omicidio volontario per aver sparato contro Afro Tondelli. Per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato in Corte d’Assise di Milano e non a Reggio Emilia. Il 14 luglio 1964 Panico fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l’agente venne assolto con formula dubitativa. Due anni dopo la Corte d’Assise d’Appello riformò la sentenza assolvendo l’agente con formula piena.
Alla celebrazione di ieri, dove come ogni anno sono state deposte corone nei punti della piazza dove i cinque reggiani caddero, ha partecipato anche il sindaco di Genova Marco Doria. Un legame ideale tra Reggio Emilia e il capoluogo ligure, che si è ripetuto a distanza di mezzo secolo: “Sui fatti del 2001 la Corte di Cassazione ha finalmente detto una parola chiara e di questo avevamo bisogno, anche se dopo 11 anni. Così come avremmo bisogno di una parola chiara, sui fatti di Reggio Emilia del 1960. Questa piazza chiede ancora che la giustizia faccia il suo corso, che arrivino le scuse anche per i fatti del luglio ’60 e per i morti di Reggio Emilia. Nessuno li restituirà vivi ai parenti, ma ci darà la speranza di sentirci a casa nella nostra amata Repubblica”, ha concluso Delrio.
di Antonio Murzio