Ha del miracoloso, se ci pensate: l’arrivo di questa squadra di governo, persone di statura molto diversa, ma disposte a far parte all’improvviso di un team che non è né costituzionale né anticostituzionale, né politico né antipolitico, né dentro né fuori dalla macchina delle istituzioni. Sappiamo che lo ha mandato qui dentro il Capo dello Stato, con un’inventiva e rapidità che gli sarà riconosciuta anche in futuro. Io sono tra coloro che hanno approvato questa veloce, inaspettata risposta a una emergenza senza precedenti (situazione grave alle porte e nessun governo adulto e capace in carica). L’analogia più calzante che mi viene in mente è quella di Medici senza frontiere. Sono sempre sgraditi a ciò che resta del potere, nei luoghi in cui si mettono a curare e operare, ma loro vanno avanti, elaborando una certa indifferenza, sapendo che ci sono malati e feriti che senza di loro sarebbero abbandonati. Per quel che so, e per quel che ricordo dei Paesi e delle circostanze in cui ho visto i medici senza frontiere al lavoro, il grande sostegno sono sempre gli abitanti, le famiglie, i bambini che non resteranno mutilati, le donne che non perdono i figli.
Come accade allora che i nostri nuovi “ministri senza frontiere” (nel senso politico, ma anche di estraneità alle istituzioni) in pochissimo tempo, dopo il sollievo e i saluti, vengano percepiti come persecutori e creatori di trappole e pericoli e decisioni infide (non sai mai quanto è profondo il buco che improvvisamente trivellano) e sopportati come un passaggio che porta ansia, sentimenti sgradevoli e attese cupe? Come accade che tutto ciò si viva come una prova dura e inevitabile tipo le piaghe di memoria biblica, qualcosa che si accetta con disperata pazienza, in attesa che la prova finisca e che si ritorni a qualche forma di vita “normale”?
Mi rendo conto. Una risposta è che la crisi è più grave di quanto si sapeva o si era previsto. Una risposta è che la cura, per quanto dura, stenti a produrre i risultati ragionevolmente attesi. Una risposta è che interventi giusti e tempi giusti si scontrino con una macchina pubblica e politica talmente disastrata da ritardare o addirittura impedire (almeno fino a quando non ci saranno le necessarie riparazioni) qualunque effetto benefico.
Ma tutta questa massa di argomenti non mi libera dalla domanda: perché comunicano in questo modo? Perché ogni giorno piovono annunci e avvertimenti che si accumulano con molta più rapidità di ogni possibile intervento buono o cattivo, giusto o sbagliato, ma reso comunque invivibile dall’annuncio-minaccia? Prendo come esempio i titoli dominanti più o meno su tutti i giornali del giorno 4 luglio. Non indicherò le testate perché la questione (mi sembra) non è giornalistica, ma riguarda lo strano modo con cui il governo senza frontiere opera fra gente e partiti allo sbando che sono oggi l’Italia.
Ecco: “Scure del governo sugli statali”; “Scure su statali e sanità”; “Ferie, buoni pasto, stipendi, forti tagli agli organici”; “Ospedali, spariranno 18 mila posti letto”; “Tagli: riduzione del personale del 10 per cento, cura dimagrante per i posti letto negli ospedali”; “Via uno statale su dieci, circa 100 mila dipendenti coinvolti”. Aggiungete i drammatici “lanci” dei telegiornali e giornali-radio di reti pubbliche e private, aggiungete la tempesta di messaggi sui telefonini, e avrete un’idea della cascata di panico generata (non solo tra dipendenti e famiglie degli statali) che si trasforma facilmente in un senso di imminente condanna.
Infatti, ogni cittadino italiano è chiamato a temere, autorizzato a immaginare che – se questo è l’annuncio – la realtà non può che essere peggiore in Italia, per decenni, questa è stata l’esperienza persino quando gli annunci erano festosi). La percezione è che invocare la crisi peggiora la crisi, cancella ogni ruolo dei cittadini (che sono chiamati solo a subire) e che dunque qualunque scappatoia è buona, se è possibile oscurando quante più fonti di reddito, piccole o grandi, perché ormai sai che ti devi difendere da solo. La temperatura è gelida, la comunicazione è nulla, il senso della punizione è fortissimo, il desiderio di fuga comprensibilmente grande. Poiché per quasi tutti la fuga non è possibile, sogni dell’altro, ma non vuoi avere a che fare con le istituzioni. Ti appaiono pericolose.
Il primo sentimento che muore è quello della solidarietà. Il secondo è il senso di appartenenza a una comunità in cui ciascuno fa la sua parte. Qui hanno tutti un ruolo passivo che ti fa sentire parte lesa, e provoca un atteggiamento vendicativo, senza capire bene per che cosa o contro che cosa. Mandare avanti la paura è un espediente pedagogico per mettere tutti in riga o è un errore? Io credo che sia un errore. Un errore da cancellare subito.
Il Fatto Quotidiano, 8 Luglio 2012