I reparti oncologici dei nosocomi di Carpi e Mirandola dopo le due scosse del 20 e 29 maggio sono quasi del tutto inagibili. Pazienti e infermieri costretti ogni giorno a percorrere in pullman 40 chilometri fino a Sassuolo per le sedute di chemioterapia: "Percorso terapeutico, ci aiuta ad esorcizzare la paura"
La storia recente di questi due reparti oncologici della bassa modenese ha un po’ dell’avventuroso. Il 20 maggio l’ospedale di Mirandola viene evacuato dopo il primo terremoto delle 4 del mattino. I circa 700 pazienti malati di tumore sono costretti a trasferirsi in tutta fretta a Carpi, l’ospedale “cugino”. Del resto entrambi i centri fanno capo a un’unica unità operativa guidata dal dottor Fabrizio Artioli.
Tutto bene? Nemmeno per idea. Passa appena una settimana e l’esodo ricomincia. La fortissima scossa delle 9 di mattina del 29 maggio costringe alla seconda evacuazione. Questa volta il tutti fuori è urlato a Carpi. Dove si va? Come in un beffardo effetto domino i pazienti di oncologia delle due cittadine terremotate sono costretti a cercare un nuovo alloggio. Sotto le tende degli ospedali da campo infatti non si può fare tanto. Giusto un ambulatorio, ma per la chemioterapia e le altre cure bisogna trovare un nuovo ospedale.
Così si opta per Sassuolo. “Giovedì abbiamo avuto conferma che i malati sarebbero arrivati qui”, spiega il dottor Giovanni Partesotti, che dirige il day hospital oncologico di Sassuolo e che ha aperto le porte del suo reparto. “Da giovedì all’ora di pranzo per tutto il pomeriggio abbiamo dovuto raddoppiare i posti, abbiamo recuperato poltrone e letti adatti. Ci è arrivata una nuova cappa per la preparazione dei medicinali nel caso la nostra vecchia non avesse retto. Già venerdì mattina (la scossa è del martedì, ndr) siamo stati in grado di curare i primi pazienti di Mirandola”, spiega l’oncologo.
Il momento più difficile è stata la prima settimana quando ancora Carpi e Mirandola non avevano nemmeno l’attrezzatura per poter effettuare i prelievi di sangue. “Adesso invece già visitiamo i pazienti sotto queste tende e abbiamo anche recuperato due stanze nella struttura ospedaliera che piano piano riapre”, spiega il professor Artioli. “A Carpi rientreremo in ospedale entro due o tre settimane”, prevede l’oncologo. “Ma per Mirandola temiamo che i tempi siano un po’ più lunghi. Di cosa abbiamo bisogno? – ragiona Artioli – Per esempio di rimettere in sesto alcune strutture come il laboratorio per i farmaci”.
Qui a Carpi oltre agli ambulatori sotto le tende rimangono anche gli “uffici” di oncologia, in parte tenuti in piedi con l’aiuto dei volontari. È rimasta la segreteria, sistemata nel parcheggio dei dipendenti dell’ospedale, tra qualche gazeboportato dalla Associazione dei malati oncologici (AMO) e un camper che pochi giorni dopo il terremoto un anonimo imprenditore lombardo ha fatto arrivare. E poi, dentro un container, c’è l’archivio delle cartelle cliniche, anche questo tirato fuori dall’ospedale inagibile dai volontari dell’AMO. “Anche se siamo accampati – spiega il professor Artioli – abbiamo continuato non solo a curare i malati, ma anche a fare ricerca scientifica sui dati che raccogliamo dai nostri pazienti”. Poi, nel reparto ricreato nel parcheggio, c’è anche il punto di ascolto psicologico. “Pensavamo – spiega Artioli – che dopo il terremoto per i malati di cancro, ma non solo per loro, uno psicologo fosse importante più di prima”.
La paura adesso è che i soldi, le cifre importanti, non arrivino. Artioli è preoccupato soprattutto per le associazioni di volontariato. “Sono la linfa di ogni reparto in questa zona dell’Emilia, e temo che con la crisi economica che seguirà al terremoto, anche il volontariato si possa contrarre”.