Per il campione svizzero è la settima vittoria in otto finali disputate: eguagliato il record di Pete Sampras e William Renshaw. E da domani 'King Roger' tornerà ad essere anche numero 1 al mondo
Non ce l’ha fatta Andy Murray. Nonostante avesse vinto il primo set, illudendo i 15 mila spettatori del Centre Court di Wimbledon. Nonostante ci abbia messo “tutto il suo cuore”, come aveva promesso alla vigilia della finale più attesa di sempre (i bagarini hanno piazzato gli ultimi, preziosissimi biglietti anche a 4mila sterline l’uno). Alla fine ha vinto il più forte, non di oggi ma di sempre: Roger Federer.
La finale della 126esima edizione di Wimbledon resterà nella storia. Perché dopo tre quarti di secolo gli Inglesi avevano sperato di poter tornare a vincere il torneo di casa, il più amato, il più ambito. L’ultimo a riuscirci era stato Fred Perry, nel 1936: uno che adesso è diventato leggenda, che marchia col suo nome le magliette di mezzo mondo.
Sono passati 76 anni da allora, di attesa e delusioni. Come le quattro semifinali perse da Tim Henman: uno che sui campi d’erba di Londra ci era cresciuto fin da bambino, tanto da meritarsi il soprannome di Timbledon. Doveva essere lui, il ragazzo tutto serve&volley di Oxford, a riportare a casa il trofeo. Ma il destino gli aveva riservato solo sconfitte amarissime. Poi era arrivato Andy. Scozzese, in realtà, ma adottato con amore dal popolo inglese: troppa la voglia di Championships per sottilizzare su spicce questioni di confine. E dopo altre tre semifinali perse tra il 2009 e il 2011 questo sembrava poter essere l’anno buono, complice l’eliminazione prematura del favorito Nadal. Per l’occasione il primo ministro britannico aveva anche fatto issare la bandiera con la croce di Saint Andrews alla sua finestra di Downing Street. Ma niente da fare, la maledizione continua. Murray finisce in lacrime, abbracciato dalla standing ovation del suo pubblico. Dovrà riprovarci l’anno prossimo.
Intanto il mondo del tennis festeggia il suo nuovo re. O meglio, il vecchio: “King” Roger Federer. Oggi ha giocato una finale straordinaria: il punteggio conclusivo (4-6, 7-5, 6-3, 6-4) non rende fino in fondo la tensione di una partita durata oltre tre ore, con scambi al cardiopalma e game anche da 20 minuti l’uno. Federer ha dovuto mettere in campo tutto il suo talento per avere la meglio su Murray.
Ma questo sforzo verrà ricompensato. Per Roger è la settima vittoria in otto finali di Wimbledon disputate (l’unica persa nel 2008 da Nadal, l’ultima giocata e vinta nel 2009): eguaglia così il record di Pete Sampras (tra il 1993 e il 2000) e William Renshaw (ma con lui scivoliamo indietro fino al XIX secolo). E da domani Federer tornerà anche numero 1 al mondo, ad oltre due anni di distanza dall’ultima volta. Conquistando un altro primato: il record assoluto di permanenza in vetta al ranking Atp, che fino a ieri spettava a Sampras. Quello del montepremi carriera invece già gli apparteneva da anni: con il milione abbondante di sterline intascato oggi la quota dei 70 milioni di dollari è sempre più vicina. Ovvio, con 17 titoli del grande slam vinti.
Il suo talento è infinito. Come la sua carriera. Nello sport è quasi impossibile fare paralleli e paragoni tra campioni di epoche diverse; ma forse per lui ci si può sbilanciare: sì, è il più forte di sempre. E siccome 30 anni sono tanti ma non troppi (l’ha dimostrato oggi), la storia continua. Appuntamento sempre qui, a Wimbledon, fra neanche un mese: ci sono i Giochi di Londra, e un oro olimpico in paio. L’ultima vittoria che manca a Roger per completare un palmares irripetibile.