Politica

Esodati, la beffa dell’articolo 22

La vicenda delle salvaguardie rispetto alla riforma pensionistica si è arricchita di un altro passaggio deprecabile, a dimostrazione che anche nel campo delle porcate, non c’è limite al peggio.

Infatti, il decreto legge sulla spending review contiene un articolo, il 22, che tratta di salvaguardie aggiuntive (i famosi 55.000 esodati) relativamente alla legge del 6 dicembre 2011 (l’ammazza-pensioni, per intendersi); avrebbe potuto essere una notizia positiva, sennonché l’astuta ministra Fornero ha utilizzato quest’ultimo decreto legge per dare un’altra plasmata alla platea degli esodati e renderla sempre più simile alle cifre che la signora ha in mente da parecchio.

Succede che all’articolo 22 la ministra abbia inserito nel comma 1 un riferimento ad alcuni paletti che aveva arbitrariamente inserito, rispetto alla legge originale, nel decreto interministeriale del 1 Giugno, del quale si sono perse le tracce; quei paletti, particolarmente pesanti per i contributori volontari, erano stati accolti, oltre che da sdegno anche da bellicose dichiarazioni circa innumerevoli ricorsi ai Tar che sarebbero stati quasi certamente vinti, in quanto dei paletti necessari ad adattare il numero degli esodati alle regole (anziché fare regole in base al numero degli esodati) non c’era traccia nella legge e quindi, erano “fuorilegge”.

Il riferimento che Fornero ha messo nell’articolo 22 fa si che, una volta approvato il decreto spending review, quei paletti, anziché un esecrabile e impugnabile iniziativa non prevista dalla legge, acquistino valenza appunto di legge. Che cosa dicono quei paletti è che i contributori volontari vengono salvaguardati solo se hanno un contributo accreditato in data antecedente al 6 dicembre 2011 e se non hanno avuto alcuna attività lavorativa dopo l’approvazione Inps alla contribuzione volontaria; sul piano etico sono due norme spregevoli, in quanto vanno a colpire chi non ha versato contributi, vuoi per avere già un’anzianità contributiva molto elevata e sufficiente oppure per mancanza di risorse e coloro che hanno tentato di ricollocarsi magari accettando un lavoro a termine per poi ripiombare nella disoccupazione; le due norme sono, dal punto di vista Fornero, molto efficienti, infatti hanno il “pregio” di ridurre il numero dei contributori salvaguardati a circa 18.000 contro un totale stimato di circa 130.000. Insomma, Fornero riesce ad avvicinare la realtà a quel numero che aveva in testa e che quei sovversivi dell’Inps mettevano in discussione indicando in 390.000 gli esodati.

Quanto sopra non è l’unica porcata contenuta nell’articolo 22. Infatti esiste anche un passaggino, al comma 1 a) nel quale, nell’allargare le salvaguardie ai mobilitati che al 6 dicembre 2011 non avevano ancora lasciato il posto di lavoro, il decreto precisa che ciò si applica alle imprese che “abbiano stipulato accordi in sede governativa”, prendendo dentro quindi, per esempio, i lavoratori di Termini Imerese ma non tutti quelli i cui accordi sono stati stipulati in regione o presso le associazioni di categoria.

Assumendo valenza di legge, queste restrizioni sono ultimative e coloro che sono fuori non avranno possibilità di rientrare, le porte dei Tar vengono blindate tout court.

Considerando anche che i dipendenti pubblici verranno pensionati con le vecchie regole, il risultato della riforma che Fornero ha spiegato soprattutto come necessaria per equità, si avvia a essere una schifezza indegna e iniqua, con figli e figliastri, trabocchetti, danze di numeri, arbìtri legalizzati a posteriori etc.

Il bello è che tutto questo avviene nell’ambito di un “duro negoziato” che i partiti in parlamento avrebbero aperto con la ministra allo scopo di migliorare la legge. L’aumento dei salvaguardati è stato sbandierato dai partiti come un successo, senza vedere che l’effetto collaterale è la condanna definitiva per alcune categorie. 

Sembrerebbe che nella partita a scacchi con la volpe Fornero, i gatti deputati anziché tenere gli occhi bene aperti come il gatto di Pinocchio che, fingendosi cieco, all’occorrenza li spalancava così “che parvero due lanterne verdi”, siano stati partoriti dalla gatta frettolosa e quindi siano gattini ciechi.

I gattini ciechi hanno solo due possibili alternative per dimostrare, invece, di vederci bene: la prima consiste nello zampettare fino a palazzo Chigi e chiarire al presidente del consiglio che o si modifica l’articolo 22 oppure conviene non chiedere la fiducia sulla spending review e chi ha orecchie per intendere intenda; la seconda, cinica, consiste nell’ammettere che l’art.22 l’hanno visto e capito bene ma che dei contributori volontari, dei mobilitati delle piccole e medie imprese e più in generale dei lavoratori dipendenti privati, in fondo, “non ci cale”.

La vicenda sarebbe già di per sé abbastanza disdicevole e drammatica, perfino maleodorante; a renderla peggiore c’è il senso di presa in giro del ministro nei confronti dei parlamentari o di questi ultimi nei confronti di alcuni esodati; nell’un caso o nell’altro, il solco tra istituzioni e una parte della popolazione si allarga sempre di più e l’idea che i due principali partiti sembrano avere e cioè che l’uno si avvantaggerà degli svantaggi dell’altro sembra diventare ogni giorno di più una pia illusione: quel solco che in tanti contribuiscono a scavare con ottusità, insipienza politica e distacco dal paese, non verrà più riempito nell’ambito dello scenario con cui abbiamo convissuto fino a oggi. I nostri gattini, nella loro cecità, ci stanno preparando un futuro di sfiducia, divisione, conflitti; anziché transitarci con riforme assennate verso un futuro di continuità e stabilità, ci stanno consegnando nelle mani del “tanto peggio tanto meglio”.