E’ battaglia sulle tasse nella campagna presidenziale americana. Nel tentativo di fissare i termini del dibattito politico, distogliendo dagli ultimi pessimi dati sull’occupazione, Barack Obama ha chiesto di estendere per un anno i tagli alle tasse dell’era Bush agli americani che guadagnano meno di 250mila dollari. I più ricchi, quindi, dovranno pagare più tasse. Immediata la risposta del rivale repubblicano alla presidenza, Mitt Romney, che attraverso la sua portavoce ha affermato che “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, in un’economia come l’attuale, è alzare le tasse su qualche fascia di reddito”.
La proposta di Obama, formulata dal Rose Garden della Casa Bianca e annunciata con grande enfasi dai suoi collaboratori, arriva dopo la pubblicazione dei dati sull’occupazione statunitense, venerdì scorso, da subito apparsi particolarmente negativi per la politica economica del presidente (il tasso di disoccupazione, nel mese di giugno, è rimasto stabile all’8,2%). Di ritorno da un tour elettorale in Ohio e Pennsylvania (e pronto, domani, a partire per l’Iowa, dove visiterà la casa di Jason e Ali McLaughlin, un preside di scuola media e una contabile, particolarmente toccati dalla crisi economica), Obama ha del resto bisogno di proporsi come il campione della classe media e della working-class americana, il cui voto è essenziale soprattutto negli Stati in bilico il prossimo novembre. Niente di meglio, dunque, che rilanciare la questione delle tasse, cercando di far apparire Romney e i repubblicani come i difensori di un’esigua minoranza di miliardari, beneficiati da consistenti tagli alle imposte ai tempi dell’amministrazione Bush.
“Solo una forte classe media, e non un cerchio di ricchi sempre più ricchi, favorirà la crescita economica”, ha spiegato Obama, che ha definito le politiche dei repubblicani dei “giochetti”. “Abbiamo già provato quelle teorie. Abbiamo visto cosa è successo. Non possiamo permetterci di tornare indietro”, ha aggiunto il presidente. L’amministrazione americana ha stimato che un anno di tagli alle tasse per i redditi inferiori ai 250 mila dollari costerà al fisco americano circa 150 miliardi di mancate entrate. In compenso, tassare di più i redditi superiori ai 250 mila dollari porterà al governo americano entrate per 850 miliardi nell’arco di 10 anni. Per i più ricchi tra gli americani, fanno sapere sempre fonti della Casa Bianca, la tassazione tornerebbe ai livelli toccati ai tempi dell’amministrazione Clinton.
La proposta di Obama ha comunque pochissime probabilità di sbloccare l’impasse che domina da mesi la politica fiscale nazionale. Entro la fine di luglio i repubblicani della Camera voteranno una misura per estendere di un anno i tagli alle tasse a tutti gli americani. Il voto della Camera non ha però alcuna possibilità di passare al Senato a maggioranza democratica (democratici, attraverso Nancy Pelosi e Charles Schumer, hanno modellato una propria proposta, diversa sia da quella dei repubblicani che da quella del presidente: i tagli dovrebbero cioè restare in vigore per i redditi inferiori al milione di dollari). Lo scontro è quindi soprattutto politico e simbolico, e verrà con ogni probabilità risolto soltanto a novembre, con il prevalere di uno tra i due candidati. A questo punto della campagna, il dibattito sulle tasse diventa però essenziale per Obama, che ha bisogno di un argomento polemico particolarmente forte per sostenere una campagna che, altrimenti, appare in difficoltà. Nel mese di giugno Romney ha raccolto 106 milioni di dollari, superando di gran lunga Obama, che è riuscito a far affluire nelle sua casse 71 milioni. Rinvigoriti dalla pioggia di dollari, e dalle persistenti cattive notizie in del rivale campo economico, i repubblicani progettano ora una campagna a tappeto di spot elettorali negli Swing States (gli Stati contesi) e sperano di conquistare il prossimo novembre il Senato, oltre alla Camera. Il tema “tasse”, e la richiesta di farne pagare di più ai più ricchi tra gli americani, potrebbe quindi essere un modo, per Obama, per consolidare la sua base e riconquistare quelle fasce di elettori altrimenti delusi dall’andamento dell’economia.