Fu portalettere e idraulico; ma fece anche altri mestieri. Correva sulla collina della Pigna, alle spalle di Sanremo sbrigandosi per tornare a casa, alla pagina bianca che l’aspettava. Aveva la natura sempre negli occhi e un libro di poesia da leggere, soprattutto Emily Dickinson e Rilke. Io non l’ho conosciuto, è morto nel 2002 a 80 anni nella sua casa in collina, lasciando quaderni fitti di poesie, due figli, quattro nipoti e un romanzo autobiografico. Allora allevavo i miei bambini e imparavo a vivere in campagna, tramortita dalla paura di non farcela. Mi venne regalato un suo libro di poesie che ancora porta la dedica che il donatore vi ha apposto, “Niente paura, impara a stupirti”, una data e la firma; il libro ha un bellissimo titolo, Sfiorare le cose. L’editore è Sintesi, casa editrice ormai scomparsa di La Spezia.
Il poeta si chiama Luciano De Giovanni e fu Carlo Betocchi nel 1956 a pubblicare i primi versi del “poeta stagnino”, come lo definì, sulla rivista “Letteratura”; poi vennero gli editori: All’insegna del pesce d’oro e Borla, infine Philobiblon di Ventimiglia che ha pubblicato anche il suo romanzo; testi per lo più introvabili.
Ho ripreso Sfiorare le cose in questi giorni e me lo sono portato dietro nei miei obbligati e accaldati viaggi, in cui sono stata più volte vittima dei disservizi delle temibili ferrovie italiane. L’attesa più lunga, alla stazione di Firenze, dove un treno per casa era stato soppresso (perché? non l’ho mai saputo), è stata illuminata da una piccola scoperta.
Quando lessi la raccolta, 12 anni fa, seppure non mi aveva aiutato a essere più coraggiosa, mi aveva comunque consolato; avevo apposto una crocetta vicino alle poesie che mi avevano stupito (mai leggere senza una matita tra le dita; anche per questo non rinuncio ai libri cartacei, ma questa è un’altra storia).
Seduta al bar della stazione, dopo essermi intrattenuta con una signora che mi chiedeva soldi per sostenere il giornale dei senzatetto fiorentini, ho riletto con calma le poesie; ho rimesso le crocette alle stesse poesie di allora. Dunque, le domande che mi pongo oggi sono le stesse di 12 anni fa e quindi le risposte del poeta sono rimaste valide? O non c’è stata in me evoluzione nel gusto? Eppure ne ho amati tanti di poeti in questi anni. Domande senza risposta. Comunque qui di seguito trascrivo alcune poesie della raccolta che ora godono di due crocette; quelle di ieri e quelle di oggi; non aggiungo: “con la speranza che qualche editore coraggioso si prenda la briga di fare una nuova edizione di tutto il corpus poetico di Luciano De Giovanni”, perché so benissimo che la poesia non si vende e che l’editoria, grande e piccola, boccheggia seriamente.
(XX= due crocette a matita)
XX
Per noi c’è l’alba,
c’è il tramonto,
c’è il fiore nel prato,
c’è l’essere amato
c’è la nascita, la morte,
la vita appena colta,
la speranza, la pena
le nuvole, il sereno
e, qualche volta,
l’arcobaleno
XX
Due bambini
con due cagnolini
a giocare nel cortile
della grande casa
A me ch’ero sul tetto
a riparare una gronda
sembravano quattro sassi
caduti in fondo al pozzo
XX
Penso
che il paradiso
sia ciascuno di noi
quando dimentica
il suo nome
XX
Diranno che fui pessimo operaio
e un pessimo padre di famiglia,
un pessimo uomo d’affari
e un pessimo poeta
Io me ne starò vergognoso
nella mia fossa sicura
e penserò che dopotutto
ero in un pessimo mondo
XX
Gli uccelli
possono volare
perché sono
innocenti
non è questione
d’ali
XX
Il miracolo consueto della foglia
al quale non prestiamo attenzione
e non ci meraviglia
in cerca come siamo
del miracolo
XX
(…) quando nel riverbero dell’afa
nel silenzio del pomeriggio d’insetti
nel sonno d’ombre dei piccoli animali
nascosti nelle fronde
si muove certo e solo
il rombo del tuono quotidiano