Le vie del calcio sono infinite. Come le corsie degli ospedali e le mura in tribunale. Il 19 Luglio Ferruccio Mazzola non sarà del processo per diffamazione di Carlo Tagnin, come lui ex Inter e Lazio, ma pure Torino, come papà Valentino, cuore granata scomparso a Superga. Perché “il terzo incomodo”, fratello del celebre Sandro, ha smesso di accusare doping e combine: è allettato, all’imbocco di un tunnel fuori da regole e tempi supplementari.
Ferruccio Mazzola non è solo l’erede di un mito intoccabile: è vita sindacalista da centrocampista e allenatore, tra fasce di capitano e panchine minori prima dell’outing stile Zeman, in lotta contro pastiglie e farmacie negli spogliatoi, infiltrate già nei ’60 del secolo breve. Denunce pubbliche e circostanziate, come le verità ombrate di Carlo Petrini, altra gola profonda del mondo sferico, emarginato malgrado tumori e sofferto addio terreno. Stessa funerea sorte anche per Bruno Beatrice, ‘mastino’ d’incursione su nostalgici album di figurine, anzitempo bare su cui non è mai tardi interrogarsi. Come Mattolini, Picchi, Signorini e tanti altri.
D’azzardo, Ferruccio Mazzola entrò in tackle sulla ‘Grande Inter’ di Helenio Herrara. Le usanze di pasticca nerazzurra, nel 1969 avrebbero ucciso anche il romanista Giuliano Taccola. A Giacinto Facchetti (anche lui scomparso, soffrendo) toccò difendere la ‘Beneamata’ onorabilità. L’Inter però, senza prove contrarie sul ‘Mago’ yogin e filo-gesuita, perse la causa per diffamazione e fu condannata al risarcimento di 1 milione e 500mila euro: con precetto di pignoramento sull’incasso di San Siro, ne pagò 7mila per l’onorario difensivo di Bradipolibri, editore del ruvido intralcio.
Misteriche alchimie d’Ippocrate svelate pure da Arcadio Spinozzi, stopper in combattimento libero sul fuorigioco di invasivi cicli terapici, con una panchina in Ghana mai dimenticata e le riprese di un docufilm (“Centravanti nato”) girato con l’amico ‘Pedro’ su malaffare e tarocco della pedata. In ‘Una vita da Lazio’ (Castelvecchi Editore) scrisse di strane compresse offerte dall’anti-Mago, lo ‘Stregone’ Juan Carlos Lorenzo, già esorcista nella Roma in colletta al Sistina. Nel Bologna di Dossena, Savoldi e Sali, vide gli inganni del Totonero 1980, la Juve di Bettega sfuggire al sensazionalismo di gazzelle e volanti bordo campo, per uno scandalo in odore di Camorra e Banda della Magliana. Persa l’innocenza, vent’anni dopo toccò con mano pure Calciopoli-Moggiopoli-Gea World, bussando alle porte delle procure di mezza Italia per denunciare incongruenze e falle di un’inchiesta anomala, non solo controllato e controllore: “Ci sono magistrati – sostenne il suo avvocato Renato Miele, ex compagno laziale – che in passato hanno fatto parte di corti di giustizia sportiva nominate dalle stesse persone che oggi si trovano a giudicare”.
Nessuno ascoltò ‘Spina’ il reietto, finito ai margini del sistema come ‘Mazzolino’ l’ingombrante. Degenti, soli, scordati nel dribbling di sentenze, inchieste e prescrizioni mediche terrificanti, come se nulla fosse e niente sarà. Perché nel calcio, come al circo, quando cade l’acrobata entrano i clown: lo spettacolo deve continuare, in variante palla avvelenata.