Studio di Transparency International sui colossi dell'economia mondiale. Bank of China la peggiore in assoluto, ma dall'Europa agli Usa la situazione è simile. Opache soprattutto le resti estere, dove viaggiano tangenti, riciclaggio, evasione fiscale
Come operano e come sono strutturati i colossi dell’economia mondiale? Cosa sanno di loro gli investitori e i cittadini? Transparency International ha analizzato le 105 più grandi società al mondo sulla base della loro trasparenza ricavandone risultati che non fanno star tranquilli. Delle multinazionali quotate in borsa, che sommate valgono più di 11 trilioni di dollari, neppure un terzo raggiunge la sufficienza e la performance peggiore riguarda il settore finanziario, che ottiene un voto medio di 4,2 su 10. Solo i sistemi interni anticorruzione segnano un trend positivo rispetto al passato: a confronto con il 2009, data a cui risale l’ultimo studio analogo di Transaprency, emerge un aumento al 68% (dal precedente 47%) delle aziende che si sono dotate al loro interno di misure per prevenirla. Ma sulla trasparenza ci sono ancora voragini da colmare.
Banche, fornitori di servizi finanziari e assicurazioni sono le società meno trasparenti. In Europa, Asia e America tutte le posizioni con i punteggi più bassi sono occupati da banche. Dei 24 istituti finanziari valutati, 13 non divulgano dati sulle loro attività all’estero, 7 ne rivelano solo alcuni e solo 4 forniscono adeguate informazioni a livello nazionale. La peggiore è Bank of China (1,1) ultima dell’intera classifica, ma non va meglio a Bank of America (3,2), Goldman Sachs (3,3), Visa (3,5), Barclays (4,0) o Bnp Paribas (5,4).
Delicatissimo poi il settore delle grandi gruppi “reticolari”, composte da decine di migliaia di società controllate. Articolazioni di scala globale su cui viaggiano flussi di denaro che possono celare riciclaggio, evasione fiscale e altri reati. Transparency ha chiesto alle società gli elenchi completi di tutte le loro partecipazioni ma ben 78 su 105 si sono rifiutate di rivelare questi dati. “La Banca mondiale ha documentato l’uso delle società controllate per incanalare tangenti a funzionari stranieri” è scritto nel report. Possedere queste informazioni “è fondamentale anche perché le imprese possano essere ritenute responsabili per le azioni delle loro società controllate, come il rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori”.
Nella classifica il settore che ottiene punteggi più alti è quello dell’estrazione mineraria, del petrolio e del gas. Sei delle companies che si occupano di queste attività si collocano infatti nelle prime 10 posizioni in classifica. Forse, si augura Transparency, per la pressione a lungo esercitata da investitori, governi e cittadini. La norvegese Statoil guadagna addirittura il primo posto, con 8,3 punti. Nella graduatoria anche le italiane Enel ed Eni, rispettivamente con i non lusinghieri 6,2 e 5,9 punti.
Tecnologia, beni e servizi e telecomunicazioni sono gli altri settori coinvolti. E in questi colpisce la pessima performance di Microsoft (3,4), Apple (3,2) e Google (2.9), come quella di tutto il settore tecnologico. I campioni del web e delle nuove comunicazioni sono anche primi nel non divulgare informazioni sul loro conto. Pessimi, nei beni e servizi, anche Walt Disney (3,4) e Amazon.com (2.8). Mentre va meglio invece per le telecomunicazioni, dove almeno France Telecom, Vodafone e la spagnola Telefonica, raggiungono la sufficienza (6,6, 6,4 e 6,2).
Particolarmente carenti risultano anche le comunicazioni su ricavi, vendite, imposte sul reddito e in generale sui dati finanziari. Con una particolarità degna di nota nella zona euro: delle 65 società operanti in Spagna solo 3 rendono pubbliche le imposte pagate in quel paese, mentre in Grecia non lo fa nessuna delle 43 aziende analizzate. Questo vuol dire che non si riesce a sapere con precisione quale sia il gettito di imposte che da queste multinazionali arriva ai governi e, di conseguenza, del modo in cui i governi impiegano questi fondi.
La mancanza di trasparenza rende inoltre più difficile capire in che modo le multinazionali contribuiscono alle campagne politiche. Lo studio di Transparency mostra infatti che circa la metà delle società valutate non divulga informazioni sui contributi politici. “Le multinazionali restano una parte importante del problema della corruzione in tutto il mondo. È giunto il momento per loro di essere co-leader delle soluzioni – è la ricetta finale di Cobus de Swardt, Managing Director di Transparency International – ma per questo hanno bisogno di fare significativi passi avanti”.