Che cos’è una democrazia senza un sistema-giustizia efficiente? Nulla. Che significato hanno valori come diritti, doveri, legalità, stato di diritto, certezza della pena, responsabilità, reato, sanzione, tutela, deboli senza un sistema-giustizia efficiente? Nulla.
Ciò accade da tempo nel nostro Paese e si sta aggravando ancor di più grazie alle scelte irresponsabili perpetrate da questo Governo: la demolizione scientifica e sistematica del sistema giustizia, giustificata paradossalmente da un preteso miglioramento di esso, da una riduzione della spesa e da una razionalizzazione delle risorse. Nulla di più falso.
Accade esattamente l’opposto e ora vi spiegherò perché. Da tempo lanciamo l’allarme nel tentativo di rendere consapevole l’opinione pubblica di una demolizione (giuridica, inarrestabile) in atto di estrema gravità il cui unico intento è l’indebolimento del sistema di diritti e di tutela per tutti. Uno scenario nel quale si vuole che i più forti governino impunemente e i più deboli subiscano. Pare uno scenario orwelliano ma non lo è. È già realtà.
L’avvocatura lancia l’allarme nell’interesse della collettività. Certo, l’avvocatura è uno dei 2 pilastri del sistema giustizia ed è direttamente interessata ma ora sta svolgendo un ruolo di coscienza sociale. Un’avvocatura che non è una casta (lo è invece quella pletora di parlamentari al servizio del “padrone”, violando l’autonomia del mandato e l’alto ruolo che ricoprono) ma è una delicata categoria professionale.
Che cosa sta accadendo? Da qualche decennio è palese l’inefficienza della giustizia italiana. Si ripete come un mantra che ciò è dovuto allo scarso numero dei magistrati e/o all’avvocatura che campa con le cause lunghe e anche perché numerosa. Niente di più falso. I magistrati italiani sono circa 8.000 togati e almeno altrettanti onorari. Il numero è abbastanza adeguato ma sono organizzati malissimo con cancellerie poco efficienti, con un sistema cartaceo ancora dominante (!), con uno spreco di tempo e denaro mostruoso che si ripercuote sulla durata dei processi e sulle tasche dei contribuenti. Perché non formare un manager per ogni tribunale? Perché non incaricare Barbuto (presidente torinese distintosi per il metodo virtuoso) di fare formazione all’uopo? Perché non informatizzare tutta la giustizia e consentire che tutto si muova on line, incluse le notifiche solo via Pec, l’esame dei testi se lontani e le udienze on line se avvocati o parti sono distanti? Perché non avere riformato in questi anni il processo civile semplificando i riti e i tempi processuali, posto che una causa di primo grado se si vuole si può concludere in 1,5/2 anni?
Invece nell’ultimo biennio abbiamo assistito a una raffica di scelte irrazionali, costituzionalmente di dubbia legittimità, deflattive e intimidatorie, quali nell’ordine: l’introduzione della mediazione obbligatoria (che non ha eguali in Europa) affidata a mediatori di dubbia preparazione e specializzazione, con costi discutibili; l’aumento vertiginoso e costante delle spese di giudizio (contributo unificato e marche) che dissuadono le parti meno abbienti a chiedere tutela; sussultorie modifiche del codice di procedura civile finalizzate a dissuadere le parti dall’iniziare una lite perché poi potranno pentirsene amaramente (la superlite temeraria; attenti a non accettare la proposta di mediazione… etc.), dighe di sbarramento all’appello e al ricorso in cassazione (introdotte con l’art. 54 d.l. n. 83/2012, in G. U. 26 giugno 2012, con cui si elimina il ricorso per cassazione per vizi della motivazione e in caso di “doppia conforme”; nonché si inventa “il filtro in appello” in quanto “l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”); si indebolisce il sistema di tutela prescritto dalla legge Pinto (indennizzo per irragionevole durata del processo, sempre con l’art. 54 d.l. n. 83/2012) così disincentivandolo; si è resa sterile la discussione sulla responsabilità dei magistrati, legittimando l’ingiustificata prassi applicativa della l. 13.4.1988, n. 117 che ha consentito di accertare la responsabilità per errori dei magistrati in ben 4 casi in 24 anni (!); si è demolita la struttura dei principi fondamentali dell’avvocatura (le finte liberalizzazioni del Catricaletta – come ben definito da Travaglio – pensiero). Da ultimo si è deciso di tagliare circa 400 tra tribunali, sezioni distaccate e procure, che seppure in molti casi meritino un taglio per razionalizzarne le risorse (erra l’avvocatura politica e istituzionale ordinistica ad alzare le barricate) è clamorosamente sbagliata quando si tratta di potare tribunali come quello di Lamezia Terme, città in cui il Consiglio Comunale è stato sciolto 2 volte per mafia, dove c’è l’aeroporto più grande della Calabria, lo snodo ferroviario ed autostradale più importante, il vicino porto di Gioia Tauro, la più grande area industriale del Mezzogiorno e che perciò è stata scelta dalla ‘ndrangheta, per i suoi traffici e per le riunioni “notturne”, incontrandosi con la camorra. Un tribunale presidio di straordinaria importanza, cancellato con un colpo di penna.
Invece di riformare realmente la giustizia la si demolisce. Ma i danni ricadranno su tutti noi.