Il retroscena è riportato dal Corriere della Sera. Uno dei giudici fece depositare nella cassaforte della cancelleria il suo parere non concorde su una ordinanza dell'autunno scorso. Due i provvedimenti "sospettati" quello sul legittimo impedimento e un altro sulla veste processuale di Mills
Che nel collegio del Tribunale di Milano che ha dichiarato la prescrizione, il 25 febbraio scorso, per il reato di corruzione in atti giudiziari per Silvio Berlusconi, non ci fosse armonia, lo intuivano i cronisti che seguivano tutte le udienze. Ma oggi le intuizioni trovano riscontro. Anzi una prova. Il Corriere della Sera riporta “un’inedita circostanza” sul clima vissuto intorno al processo in cui si doveva stabilire se l’ex presidente del Consiglio avesse pagato 600 mila dollari all’avvocato inglese David Mills, ideatore delle società off-shore, per mentire in due processi a suo carico. Circostanza, peraltro, che ha portato il legale britannico a essere condannato in primo e secondo grado riuscendo a “ottenere” la prescrizione in Cassazione. In motivazione poi i supremi giudici hanno scritto che Mills fu corrotto nell’interesse di Berlusconi.
Ebbene a “metà processo” contro Berlusconi (rinviato grazie all’incostituzionale Lodo Alfano, ndr) ovvero nell’autunno del 2011 a fronte di una ordinanza che viene definita “intermedia” una dei tre giudici – Francesca Vitale presidente (che ha depositato in anticipo le motivazioni della sentenza senza avvertire le colleghe, ndr) Antonella Lai e Caterina Interlandi – ha fatto depositare una busta nella cassaforte della cancelleria. Messo in minoranza nel collegio su un determinato provvedimento il magistrato, “per tutelarsi da eventuali richieste di danni legati alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati” ha invocato un comma e ha fatto mettere a verbale tutto; motivo del dissenso, questione e soprattutto dissenziente. Busta che potrebbe essere aperta eventualmente quando arrivasse una richiesta danni.
Tra le varie ordinanze emesse dal collegio, in assenza di dati certi e con la busta in cassaforte, due sono quelle che potrebbero aver scatenato una “rissa” in camera di consiglio. La prima, meno probabile, risale a lunedì 24 ottobre quando, a sorpresa, Silvio Berlusconi presente un legittimo impedimento. La presenza del capo del Governo, essendo lunedì e in presenza del famoso patto tra Tribunale e difesa (che prevedeva che il Cavaliere non sollevasse più gli impedimenti, ndr), era data per certa. Anche perché in aula era prevista la testimonianza proprio dell’ex coimputato, David Mills. Era tutto pronto per la videoconferenza con Londra, ma dopo uno dei tanti vertici a Bruxelles, il primo ministro era rientrato a Roma, saltando la tappa di Milano, per una serie di impegni istituzionali tra cui uno con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il pm Fabio De Pasquale, che in passato si era quasi sempre opposto a simili istanze, non aveva potuto che prendere atto e dare parere favorevole. Il processo a questo punto era slittato al 28 novembre con il blocco della prescrizione. Ma anche questa udienza era saltata perché non era stato possibile, nonostante una lunga udienza, determinare la natura processuale di Mills che avrebbe dovuto testimoniare. Il processo era stato quindi aggiornato al 19 dicembre, con la contestuale cancellazione dei tre udienze (per l’indisponibilità anche dell’avvocato inglese che assisteva a Londra Mills) e con il conseguente slittamento della sentenza che era attesa per il 16 gennaio. Una volta determinata la “veste” processuale di Mills era cominciata la sua lunga (durata diverse udienze, ndr), faticosa testimonianza anche interrotta poi da un presunto problema cardiaco e da un lancinante mal di testa. La ricusazione del collegio presentata il 27 gennaio, l’ammissibilità della stessa stabilita dalla corte d’Appello, la sua discussione il 18 febbraio, ha portato i giudici a emettere il verdetto ormai a processo morto.
Il quotidiano di via Solferino riporta anche un altro retroscena: le richieste di verifica del procuratore generale Manlio Minale al presidente della corte d’Appello Giovanni Canzio sulle tempistiche. Poche udienze a inizio processo e anche ‘”l’inadeguatezza del calendario” dei giudici che dovevano stabilire se la ricusazione di Berlusconi, poi respinta, dovesse andare in porto: tra il 27 gennaio 2012 e il 23 febbraio (data in cui la corte d’Appello ha respinto l’istanza dopo la discussione del 18 febbraio, ndr) è quasi passato un mese. Canzio, come scrive il Corsera, ha risposto al pg di ritenere “non opportuno adottare alcuna iniziativa nelle more delle possibili impugnazioni della senetnz” perché “la Corte avrebbe potuto dover esaminare il merito delle questioni in un eventuale processo d’Appello. Che non ci sarà perché nessuno, compreso la Procura di Milano, ha fatto ricorso.