Chi l’ha detto che la pena deve essere anche rieducativa? Al carcere bolognese della Dozza per frequentare le scuole superiori bisogna mettersi in lista d’attesa e sperare di essere tra i pochi fortunati che riescono a trovare una classe disponibile. Solo nel 2011 sono state 100 le richieste, meno di 60 le risposte positive. Se poi a chiedere di studiare è una donna, ecco che le possibilità di accesso all’istruzione precipitano a zero non essendoci classi femminili per le scuole superiori. Nella pratica una discriminazione di genere in un ambiente, quello carcerario, già difficile.
Le cause della situazione? Questa volta i soldi non avrebbero un ruolo primario (“ma restano pochi e non permettono mai di coprire tutte le necessità”, precisa Desi Bruno, garante regionale delle persone private della libertà personale). La Provincia non ha variato di molto il fondo che ogni anno dedica alle attività formative in carcere. Nel 2011 tra la Dozza e il minorile del Pratello 173mila euro per oltre 100 allievi e quasi 1500 ore di lezione. “Il problema – spiega Bruno – è che nei piani dell’istruzione carceraria di Bologna non è prevista la scuola superiore per le donne, vuoi perché le donne che fanno richiesta sono meno degli uomini e vuoi perché è difficile fare programmazione di anno in anno”. “Eppure le richieste ci sono, basterebbero tempi amministrativi un po’ più celeri e una migliore organizzazione – spiega un insegnante – Così anche le donne potrebbero iscriversi alla scuola superiore”. Dove non arrivano le istituzioni per fortuna arriva la buona volontà dei singoli docenti, che hanno scelto di entrare come volontari in carcere e prendersi cura di singoli casi. Quest’anno sono state otto le ragazze che sono state preparate per gli esami, anche se “riusciremo a presentarne solo una per l’idoneità perché abbiamo avuto molte difficoltà soprattutto a far entrare gli insegnanti”.
E se le difficoltà organizzative discriminano il genere femminile, le cose non vanno poi tanto meglio nemmeno per gli uomini. Burocrazia e tempi infiniti nelle risposte e nelle autorizzazioni rendono complicatissima la creazione di classi e sezioni. E a chi rimane escluso non resta altro da fare che rassegnarsi e aspettare il proprio turno, o la sentenza definitiva visto che su 900 ospiti alla Dozza quasi la metà non ha una condanna non più appellabile da scontare. C’è però chi sta peggio. Nel carcere di Piacenza il diritto allo studio si ferma al secondo anno della scuola superiore. Solo l’intervento dei volontari permette a pochi fortunati di arrivare al diploma come privatisti.
Le cose vanno male anche per i detenuti che scelgono di lavorare. Su 900 ospiti della Dozza sono solo 120 quelli che riescono a svolgere un’attività lavorativa all’interno del carcere, solo 20 quelli che hanno l’autorizzazione a uscire all’esterno. Eppure in carcere ci sono anche piccole esperienze di successo. Come il laboratorio di recupero dei rifiuti elettrici e elettronici che dà lavoro a tre detenuti: 18 ore alla settimana per 500 euro al mese. Oppure la sartoria Gomito a Gomito che dà lavoro a 4 detenute. O ancora i corsi di apicoltura promossi da Conapi, Alcenero e Cefal. Solo nel 2011 sono stati prodotti 680 kg di miele, poi venuti nei negozi della città.