"Non è diffamatoria" l'iniziativa dell'associazione ambientalista, che denunciava la pericolosità e le conseguenze degli impianti. Agli attivisti andranno 2500 euro per le spese processuali. "Continuiamo a ritenere la campagna di aggressione diffamatoria" fa sapere Enel che chiedeva 10mila euro al giorno
Una vittoria su tutta la linea: Greenpeace–Enel finisce tre a zero. L’organizzazione non ha diffamato la società con le sue campagne contro le centrali a carbone, non deve interromperla e soprattutto non dovrà farsi carico di quella montagna di soldi sotto i quali il gruppo energetico voleva seppellire le iniziative degli attivisti contro le emissioni di Co2.
Il giudice della prima sezione del Tribunale civile di Roma Damiana Colla ha rigettato il ricorso presentato da Enel a fine giugno per inibire e rimuovere la diffusione sul sito di Greenpeace tutti i materiali collegati alla campagna “Enel killer del clima”: un video intitolato “La bolletta sporca”, il sito tematico www.facciamolucesuenel.org e dei facsimile di bolletta che riportavano il costo da pagare in vite umane anziché in euro per l’inquinamento prodotto dalle otto centrali a carbone del gruppo. Enel aveva trascinato l’organizzazione ambientalista in tribunale sostenendo che i contenuti e i toni utilizzati fossero diffamatori e lesivi dell’onore e della reputazione, in una campagna denigratoria perlopiù priva di contenuti obiettivi di informazione. In altre parole, una campagna mistificatoria. Nella sua costituzione chiedeva quindi al giudice di disporre l’immediata inibizione dei contenuti con una condanna a pagare 10mila euro per ogni giorno di inesecuzione degli eventuali obblighi più mille euro per ogni singolo attivista. Sarebbe stato un colpo durissimo all’organizzazione che vive del contributo degli attivisti con un bilancio che gira intorno ai 4 milioni di euro provenienti da 58mila sostenitori, più o meno il compenso del solo top manager del gruppo energetico (Fulvio Conti, 4,3 milioni) e a fronte di un bilancio societario da 70 miliardi di budget. Il topolino schiacciato dal gigante. Ma non succederà, almeno per ora. Il giudice Colla ha infatti rigettato il ricorso di Enel sollevando Greenpeace dal rischio di finire sul lastrico e creando anche un precedente importante che fa chiarezza sulla contesa in corso. Enel sicuramente proporrà appello, ma ora la posizione di forza è meno schiacciante.
Nel merito il giudice ha passato in rassegna gli atti depositati da Greenpeace (trasmessi per altro ad Enel prima della loro stessa divulgazione) e ha ritenuto che le azioni intraprese non siano prive di fondamento e comunque non abbiano valicato il diritto di critica che “configura un giudizio, un’opinione, ed in quanto tale è soggettivo e riflette il punto di vista di chi lo manifesta. Diritto che nel caso specifico ha rispettato il nucleo di verità essenziale del fatto relativamente cui la critica si è svolta”. In particolare le argomentazioni di Greenpeace poggiano su una relazione del Centre for Research on Multinational Corporation (Somo) di Amsterdam che ha ritarato su Enel la metodologia utilizzata dall’Agenzie Europea per l’Ambiente per calcolare l’impatto sul clima e sulla salute delle emissioni in atmosfera delle 20 centrali più inquinanti d’Europa. L’applicazione di quell’algoritmo di incidenza alle otto centrali a carbone porta a questi numeri: 350 morti premature ogni anno, 1,8 miliardi di danni all’ambiente e alla salute per emissioni di Co2. Per il giudice i dati utilizzati nella campagna di Greenpeace sono effettivamente conformi agli esiti della ricerca di Somo, per altro noti alla comunità scientifica internazionale e non contestati da Enel. Insomma, la campagna di denuncia contro la bolletta-killer non era campata in aria ma basata su una robusta disponibilità di dati. Anche l’accusa di aver superato il limite della continenza è stata rigettata completamente, anzi per il giudice le espressioni utilizzate (killer, vittima, crimine, sporca verità…) “appaiono non solo conformi all’importanza e all’interesse della tematica trattata, ma anche al contesto espressivo tipico della campagne di denuncia ambientale a vasta diffusione e allo stile aggressivo e graffiante delle iniziative solitamente realizzate dalla resistente”. Nessuna inutile aggressione verbale, nessun attacco personale ma espressioni dure giustificate dalla gravità della tematica affrontata e dal suo rilevante interesse pubblico. Nessun fumus boni iuris, dunque. E quindi nessuna azione inibitoria. La domanda è inammissibile e la ricorrente che pensava di bloccare la campagna con la minaccia di pensati sanzioni finisce per pagare Greenpeace: 2.500 euro di spese processuali.
“Siamo ovviamente soddisfatti – dice a caldo direttore generale di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio – ma non del tutto. La giustizia ha rigettato in pieno il tentativo di una grandissima azienda di tappare la bocca e zittire le denunce di una piccola associazione ambientalista, ma noi avevamo la speranza che questa occasione fosse utile a entrare finalmente nel merito della questione dei danni prodotti dalle scelte di Enel di produrre energia elettrica con centrali a carbone. E’ stato punito l’atto di arroganza di Enel ma sul secondo fronte non si è fatto un passo avanti. La società prenda carta e penna, realizzi studi e produca qualcosa di scientificamente valido, si apra al dibattito e non si trinceri più accampando l’offesa formale del linguaggio usato da chi da tempo chiede delle risposte e non le ha mai ricevute”.
Enel ribatte con una breve nota: “Continuiamo a ritenere che la campagna di aggressione avviata da Greenpeace nei confronti della nostra azienda sia gravemente diffamatoria e priva di fondamento. Quali siano i limiti alle emissioni delle attività industriali non lo stabiliscono né le imprese né le associazioni private ma le istituzioni. L’Europa e l’Italia hanno fissato soglie molto rigorose a tutela della salute e dell’ambiente. Le centrali di Enel non solo rispettano questi limiti, ma in molti casi li hanno ulteriormente ridotti grazie a ingenti investimenti nelle più avanzate tecnologie di abbattimento delle emissioni, compresa la cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Enel ha già ridotto le emissioni per chilowattora prodotto di CO2 del 34% rispetto al 1990, anno di riferimento del Protocollo di Kyoto. Per quanto riguarda le polveri, la riduzione ottenuta nel 2011 rispetto al 2010 supera il 25 %”. Quanto all’uso del carbone per generazione termoelettrica, la società segnala che in Italia si produce con questo combustibile solo il 12% dell’energia elettrica prodotta con Enel contro una media europea di oltre il doppio con punte come in Germania fino a quasi il 50%. “Enel, infine è tra le utility globali una delle più impegnate sul fronte delle fonti rinnovabili. La controllata Enel Green Power ha un programma di investimenti entro il 2016 di 6,4 miliardi di euro che ha ben pochi paragoni al mondo”. Ora si attende di sapere solo se la guerra a Greenpeace andrà avanti in tribunale.