Ellen Pao ha prima accusato un collega di averla infastidita, poi ha puntato il dito contro l'azienda che dà alle donne stipendi più bassi e minori bonus. Del resto il New York Times ha recentemente titolato: “Gli uomini hanno inventato Internet” spazzando via 150 anni di storia dell'informatica
A scatenare la polemica è stato, a inizio giugno, un articolo sul quotidiano New York Times firmato David Streitfeld. Iniziava così: “Gli uomini hanno inventato Internet”. Con queste (discutibili) premesse, Streitfeld passava a dare la notizia: una pericolosa denuncia per molestie sessuali all’interno della Kleiner Perkins Caufield&Byers, colosso di capitali a rischio della Valley che ha investito, tra gli altri, in Google e Amazon. A sporgere denuncia è stata lo scorso maggio Ellen Pao, quarantenne, junior partner della Kleiner, doppia laurea, in ingegneria elettronica a Princeton e in legge ad Harvard. La donna non si è limitata ad accusare un collega di molestie, ma ha puntato il dito contro l’azienda, che discriminerebbe le donne attraverso stipendi più bassi, minori bonus e forti limiti di investimento rispetto agli uomini.
Non sarebbe una novità: stando alle statistiche della Spencer Stuart, infatti, nei cda della Valley ogni 9 donne ci sono 91 uomini mentre, secondo i dati Dow Jones Venture Source, nel 2009, solo l’11 per cento delle aziende che hanno ricevuto investimenti a rischio, aveva un’ad o una fondatrice donna. Anche la cultura popolare esalta solo i “geni” della Valley: basti pensare al libro “The Silicon Boys” di David A. Kaplan (1999) o, più recentemente, al film di David Fincher “The Social Network” (2010) che celebra la figura di Mark Zuckerberg.
In cinque parole il New York Times ha spazzato via 150 anni di storia, che forse nemmeno noi ricordavamo più. Come spiega Xeni Jardin, 41 anni, giornalista di cultura tech nota negli Usa: “Non è che gli uomini hanno inventato internet: è che gli uomini sono accreditati come inventori di internet”. Sono tante, infatti, le donne che hanno lavorato con successo alla nascita e allo sviluppo dell’informatica, come hanno ricordato i tantissimi tweet – femminili e maschili – in risposta allo sdegno sollevato da Jardin sul suo weblog, Boing Boing.
Una su tutte l’ammiraglia Grace Hopper (1906-1992), genio della programmazione e pioniera dell’informatica. Intervistata da Cosmopolitan negli anni ’60 per promuovere la professione tra le ragazze, disse che programmare era come “organizzare una cena. Devi pianificare prima e organizzare tutto in modo che sia pronto quando ne hai bisogno… Le donne sono naturalmente portate alla programmazione informatica”. E che dire di Radia Perlman (61 anni), detta “la madre di Internet”? E Klara Dan Von Neumann (1911-1963), programmatrice fondamentale, tanto quanto lo fu il ben più noto marito John Von Neumann. Hedy Lamarr (1913-2000), famosa come star del cinema, co-inventò il wi-fi; e fu ancora una donna, Ada Lovelace (1815-1852), figlia di Lord Byron, la prima programmatrice del mondo, grazie al suo algoritmo. Uno dei primi provider degli Stati Uniti lo dobbiamo a Peggy Dolgenos. E dietro Arpanet, geniale antenato di Internet, c’era Elizabeth Feinler. Evi Nemeth (72 anni) ha scritto le bibbie dell’amministrazione di sistema, Anita Borg (1949-2003) ha fondato l’Institut for Women and Technology. E furono sei ragazze, le “Eniac Girls”, ad essere assunte dall’Università della Pennsylvania all’inizio degli anni ’40 per lavorare all’Eniac, uno dei primi computer elettronici al mondo. Tra loro Betty Holberton, che suggerì agli ingegneri di inserire il comando “annulla”. Quello che andrebbe usato di fronte a tanta discriminazione.