Con una lettera 160 studiosi dell'Institute for Economic Research (Ifo) si schierano contro il progetto europeo caldeggiato anche da Mario Monti. Ma da Harvard e Berkeley ribattono: "Retorica e ideologia"
Che la finanza non sia una scienza esatta ormai lo si è capito. Soprattutto a Bruxelles, dove ogni mossa fatta dai leader europei per calmare i mercati e abbassare gli spread si sta dimostrando piuttosto effimera. Ma a darne prova in modo definitivo è la guerra scoppiata in seno agli economisti più importanti d’Europa, e non solo, riguardo a quella che dovrebbe essere una delle panacee di tutti i mali dell’euro: l’unione bancaria europea. A una lettera contro questo progetto firmata da 160 economisti tedeschi, risponde una lettera di altri esperti internazionali, questa volta a favore. E lo scontro è aperto.
A leggere le tesi, e le reciproche accuse, degli uni e degli altri, la confusione non fa che aumentare. Tutto inizia con un appello pubblico lanciato da Hans-Werner Sinn, numero uno dell’Institute for Economic Research (Ifo), e sottoscritto da 160 economisti tedeschi, affinché Angela Merkel e gli altri leader europei rinuncino al progetto di unione bancaria di cui non si fa che parlare a Bruxelles e che dovrebbe nascere sotto l’ala della Bce. Secondo Sinn, con il vertice europeo di fine giugno non si è fatto alcun passo avanti per salvare l’Euro. E ora la Germania dovrà pure accollarsi tutto il costo della crisi di Wall Street, della City di Londra e degli altri Paesi. “Ci siamo impegnati a rimborsare i debiti delle banche del sud-Europa”, ha dichiarato l’economista, secondo cui “lo stato tedesco è stato trascinato nella crisi del Sud” e “gli investitori di tutto il mondo, che hanno speculato, possono cavarsela all’ultimo momento”. E ancora: “E’ stata organizzata una caccia spietata per poter arrivare al nostro denaro, si è accusata la Germania di avere ambizioni imperiali e profetizzato l’odio dei popoli nei nostri confronti”. Il leader dell’Ifo non ha risparmiato nemmeno il fiscal compact deciso a Bruxelles lo scorso marzo, “un placebo come il patto di stabilità e crescita”.
Le banche devono poter fallire. Questa è la tesi sostenuta con forza da Sinn e dagli altri firmatari della missiva, e questo perché “se gli investitori decidono di prendere dei prestiti per fare affari allora devono essere i soli a pagare in caso di default. Altrimenti si finisce per regalare sussidi a Wall Street, alla City e a una manciata di investitori e banche nei guai”.
Un ragionamento che potrebbe non fare una piega, ma che ha scatenato l’ira e l’indignazione di altri economisti in giro per il mondo e altrettanto blasonati. “La lettera è piena di retorica infuocata e pochi dettagli di fatto”, ha detto Barry Eichengreen di Berkeley. “Penso che l’appello è semplisitico e ideologico”, ha detto da Harvard Alberto Alesina. “Questo testo non mostra comprensione di ciò che è una crisi bancaria”, ha aggiunto lo scienziato ginevrino Charles Wyplosz. Insomma, anche senza insulti, la risposta è stata di fuoco.
Secondo Alesina e colleghi, Sinn e gli altri 160 tedeschi non avrebbero risposto alla domanda più importante: alla Germania e all’Europa costerebbe di più far fallire una o più banche internazionali e mettere nei guai i Paesi a loro legati o pagare qualche miliardo di euro di aiuti? “Il dibattito è attuale in Germania, ma sembra in espansione. Può essere paragonato a una polarizzazione della politica tra il nord e il sud d’Europa. Per ora ha raggiunto la nostra professione di economisti”, ha detto Alan Manning, preside di Economia alla London School of Economics.
E l’Italia? Mario Monti, che prima di essere premier ed ex commissario europeo è presidente dell’Università Bocconi di Milano dal 1994, non ha mai nutrito dubbi. Anzi. Ieri all’Ecofin di Bruxelles ha addirittura criticato la recente proposta della Commissione europea sulla creazione di un fondo Ue per la ristrutturazione e la risoluzione delle crisi bancarie perché “poco ambizioso” rispetto alle nuove proposte relative all’unione bancaria, avanzate dal rapporto presentato due settimane fa dai presidenti del Consiglio europeo, Heman van Rompuy, della Commissione, José Manuel Barroso, dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, e dalla Bce, Mario Draghi. “Nel vertice di giugno – ha detto Monti – i leader dell’Eurozona hanno adottato un quadro generale più avanzato sulla strada dell’integrazione, chiedendo subito l’istituzione di un meccanismo di vigilanza centralizzato. E nel rapporto dei quattro presidenti c’è una visione chiara sulla supervisione bancaria unica, a cui è affiancato un fondo di risoluzione, combinato con uno schema di garanzia depositi. Quest’approccio più complessivo potrebbe aiutare a prevenire nuove crisi in futuro”. Insomma, avanti tutta sull’unione bancaria.
Twitter: @AlessioPisano