Una montagna di rifiuti incombe sulla Francia. Per la precisione scorie radioattive. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Andra, l’agenzia pubblica francese, che gestisce questo tipo di rifiuti nel Paese che più in Europa ha puntato sull’atomo. Alla fine del 2010 (sono i dati più recenti), i depositi ad hoc per questi materiali contenevano già 1,3 milioni di metri cubi di scorie radioattive. Ed è un quantitativo destinato a raddoppiare da qui al 2030, se la produzione di energia nucleare continuerà allo stesso ritmo. Un trend che, forse, sarà modificato, vista la volontà del presidente François Hollande, ribadita a più riprese durante la campagna elettorale, di ridurre il volume di energia prodotto grazie al nucleare. Puntando di più sulle rinnovabili.
“In Francia la produzione di scorie radioattive corrisponde a due chili all’anno e per abitante”, si legge nel rapporto dell’Andra, diffuso negli ultimi giorni. E quest’anno, forse a causa del cambio della guardia all’Eliseo, con un certo spirito di trasparenza. Disponibile per tutti sul sito di Andra l’inventario, che ” è uno strumento di gestione per il futuro ma anche una fonte precisa di informazione per ogni cittadino”, ha sottolineato François-Michel Gonnot, presidente dell’ente. Quel milione e 300mila metri cubi di spazzatura nucleare ha diverse provenienze. Il grosso (59%) è il prodotto dei reattori nucleari di Edf, il colosso pubblico francese del settore. Mentre il 26% proviene dai laboratori di ricerca, l’11% dalle attività militari legate alla difesa e, per il resto, da diverse fabbricazioni industriali e da applicazioni mediche. Per il 97% la massa delle scorie è costituita da rifiuti ingombranti, ma con un’attività radioattiva media o debole. Appena lo 0,2% è classificato “ad alta attività”. Ma da sola quella infima quota genera il 96% della radioattività totale. Deriva dallo smaltimento dei combustibili utilizzati nei reattori nucleari. Andra ha anche individuato i 43 siti interessati dal deposito di queste scorie, con i relativi problemi di inquinamento sulla lunga durata. Sono concentrati soprattutto nella regione di Parigi, ma anche nell’est e nel sud-est del Paese.
“La maggior parte di questi siti ospitavano attività di vario tipo nel passato, in particolare fra le due guerre – si legge nel rapporto -, ma che non riguardavano direttamente l’industria nucleare: l’estrazione di radio per la medicina e la farmacia, fabbricazione e applicazione di vernici speciali e sfruttamento di minerali. Dopo la guerra la memoria di questi siti, localizzati in genere in aree urbane, si è perduta e alcuni sono stati riconvertiti addirittura in alloggi o edifici pubblici”.
Il rapporto fornisce dati anche su un altro inquietante fenomeno: la Francia ha depositato alla fine degli anni Sessanta più di 14mila tonnellate di scorie radioattive sui fondali atlantici. In seguito ha fatto sempre meno ricorso a quel tipo di soluzione, fino ad arrestarla del tutto nel 1983. Ma fino a quel momento quantitativi considerevoli di scorie sono finiti a oltre 4mila metri di profondità, sotto forma liquida o di fusti. Anche per discutere di questo e, più in generale, del futuro del nucleare in Francia il nuovo governo socialista sta organizzando un incontro (Grenelle de l’environnement) che si terrà entro il prossimo 15 settembre, con i rappresentanti dello Stato, dell’industria privata e delle ong. “Fisserà le modalità di un grande dibattito nazionale sulla transizione energetica”, ha promesso Delphine Batho, ministro dell’Ecologia. Durante la campagna Hollande aveva ammeso di voler gettare le basi per portare la quota di elettricità prodotta grazie al nucleare dal 75% attuale al 50% all’orizzonte del 2025.