Potrebbero essere padre e figlio, Silvio e Angelino. Inquadrati dall’alto, in una foto del Corsera, mostrano la stessa testa d’uovo. Il giovane, allegramente, espone la pelata, l’anziano l’ha moquettata per tempo e ogni anno la rinforza con nuovi innesti. C’è qualcosa, però, di simile nei loro volti, una famigliarità somatica. Hanno profili intagliati nella gomma. Nasi molli, bocche accoglienti, zigomi assenti, fronti spensierate. Dicono che uno ci ha il quid e l’altro no, ma, a occhio nudo, non si vede.
Come in una relazione parentale antica è il padre che comanda e il figlio che obbedisce: io mi ritiro e nomino te. Sì papà, grazie papà. Ho cambiato idea: io mi ricandido e tu ti scansi. Sì papà, buon lavoro papà. Così, come nella dura realtà contemporanea, il 75enne non molla il posto e il quarantenne resta al palo. La gossip-politik si interroga su ciò che il tardo giovanotto non dice: è incazzato come un bufalo per essere stato deposto o è contento come un fringuello per essersi scrollato di dosso la responsabilità della sconfitta prossima ventura? Chi può dirlo. Una cosa è certa: non è sorpreso. Il valletto di un Falstaff, non sarà mai un Delfino. Della successione ad un “Io Grandioso” si può parlare soltanto dopo il suo Funerale.
Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2012