La Siria colpisce ancora. Dopo settimane di bombardamenti lungo il confine libanese, l’inevitabile è accaduto. Secondo quanto riferisce un rapporto del Wall Street Journal imbeccato da un gruppo di attivisti anti-iraniani e da “fonti informate”, le ricche banche libanesi sarebbero diventate una centrale internazionale di riciclaggio di “ingenti somme di denaro provenienti dai terroristi di Hezbollah e da organizzazioni criminali nel quadro dei rapporti simbiotici e illeciti tra Iran, Siria e Hezbollah”.
Questo almeno è quanto sostiene il gruppo “Uniti contro il nucleare iraniano”. E ovviamente tutti affermano che nel giro è coinvolta anche la Banca Centrale del Libano. Ogni qual volta si riaffaccia l’onda nera dell’odio contro la Repubblica islamica dell’Iran o si riaccende la tensione tra Israele e Hezbollah, da New York arriva la notizia che i banchieri libanesi sono culo e camicia con i vari Hitler del Medio Oriente.
Manco a dirlo Salameh, governatore della Banca Centrale del Libano, si è affrettato a smentire le voci. “Tutto destituito di ogni fondamento”, ha detto, aggiungendo che il numero dei depositi siriani nelle banche libanesi è diminuito. Fu Salameh, 5 anni fa, a suggerire al governo un disegno di legge che impediva a qualunque banca libanese di trattare subprime e derivati. Dal momento che sapeva di che razza di truffa si trattava – non per nulla Salameh ha lavorato a Wall Street – ha impedito al sistema bancario libanese di farsi trascinare nel vortice che ha scardinato in larga misura l’economia mondiale.
Oltre un anno fa ho pranzato con un consulente finanziario di Beirut e gli ho chiesto se il Wall Street Journal avrebbe tentato di accusare il sistema bancario libanese di riciclaggio e di aiutare il regime siriano. “Credo che questa sia roba del passato”, mi ha risposto. “I nostri rapporti con gli americani sono diversi e più solidi”. Certo. Qualcuno ne dubita? Le argomentazioni fornite dal gruppo di pressione anti-iraniano hanno la stessa credibilità di una favola. Dal momento che il Libano “è a grave rischio di default” (falso) a causa dell’infausto “rapporto tra debito e Pil” (sostanzialmente vero), ci deve essere un “piano fraudolento e segreto manovrato da Hezbollah e dai suoi vecchi (sic) sponsor, Iran e Siria, per tenere in piedi il castello di carte economico”. Quindi le istituzioni finanziarie libanesi non debbono avere contatti con il sistema finanziario americano.
Stante l’illegalità di massa che caratterizza il sistema americano, i banchieri libanesi fanno bene a stare alla larga da Wall Street. Ma ora che al Tesoro degli Stati Uniti viene suggerito di affibbiare l’etichetta di “riciclatore” al sistema finanziario libanese, come la mettiamo? L’anno passato il ministero del Tesoro ha inserito la Banca libanese-canadese nella lista nera delle banche che praticano il riciclaggio e che hanno “rapporti con gruppi terroristici”. Molto prima delle rivoluzioni arabe si diceva che fino a tre quarti della liquidità privata siriana in dollari era depositata nelle banche libanesi. Dopo tutto c’è qualcuno che aprirebbe un conto presso la Banca Centrale della Siria?
Di tanto in tanto mi accorgo di qualche irregolarità – c’è un sistema che consente di trasferire denaro dalle banche private siriane di proprietà libanese da Damasco a Beirut – ma si tratta di irregolarità di poco conto che nulla hanno a che vedere con le accuse americane. Tra le mille banche che in tutto il mondo hanno la reputazione di correttezza e stabilità finanziaria, otto sono libanesi. A scriverlo è l’autorevole rivista The Banker. Una rivista che suppongo non sia letta dai soloni di Wall Street.
© The Independent
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2012
(Nella foto La Presse ribelli siriani nella provincia di Idlib, nel nord del paese)