Prendere tempo, allungare le istruttorie, scoraggiare la clientela. Queste le direttive, impartite dalla sua banca. Quando poi qualche "testardo" va avanti, "basta una clausola diversa, un termine anticipato o un tetto alzato di poche migliaia di euro, magari con disposizioni temporanee e facilmente occultabili per far fallire la pratica"
Nel periodo 2008-2011 il numero dei finanziamenti concessi dalle banche per l’acquisto di abitazioni è diminuito di oltre il 20 per cento rispetto al quadriennio 2004-2007. Certamente la crisi gioca un suo ruolo, ma come spiega all’Adnkronos uno dei responsabili del retail di una delle principali banche italiane che, per ovvie ragioni, preferisce restare anonimo anche le banche ci mettono del loro. Fare meno mutui possibile. Prendere tempo, allungare le istruttorie, scoraggiare la clientela. Questi sono gli ordini, impartiti dalla sua banca. La direttiva viene ricordata ai dirigenti quotidianamente attraverso riunioni e circolari interne, spiega il bancario. Poi, continua nel racconto, ci sono metodi per scoraggiare, anzi impedire ai più tenaci di proseguire nel percorso di pratiche verso il prestito. “Basta una clausola diversa, un termine anticipato o un tetto alzato di poche migliaia di euro, magari con disposizioni temporanee e facilmente occultabili in caso di necessità, per decretare il fallimento di un’istruttoria di mutuo”. Il “trucco” è un gioco da ragazzi per la banca, perché gli istituti di credito hanno in mano tutte le informazioni di mercato, quindi analizzando la tipologia di pratiche che abitualmente arrivano alla stipula, è facile comprendere come regolare il flusso di nuovi mutui. “E’ come aprire e chiudere un rubinetto”. L’ultima prova che il manager fornisce al suo racconto è la scomparsa dei premi aziendali, legati ai finanziamenti: “Se fino a sei-otto mesi fa esistevano parametri premiali proporzionali ai contratti di mutuo stipulati, oggi sono praticamente spariti e, dove ci sono ancora, completamente ignorati”.
Alla domanda perché le banche smettono di fare il loro mestiere (raccogliere depositi per immetterli sul mercato) il bancario risponde lapidario. “Per gli istituti di credito è molto più redditizio fare trading sui titoli di Stato, prendendo soldi dalla Bce all’1 per cento, investendoli in titoli di Stato più remunerativi”. Iniettare liquidità nell’economia reale, a imprese e famiglie, attraverso l’erogazione di finanziamenti e mutui ormai è sinonimo di “dispersione”. Il sistema bancario, che da 4 anni soffre di crisi di liquidità, soffre dello sbilanciamento nel rapporto tra la raccolta e gli impieghi, quindi sostanzialmente i prestiti erogati. A rafforzare le parole del manager arrivano i dati diffusi dalla Associazione artigiani e piccole imprese (Cgia) di Mestre. La Bce, negli ultimi 5 mesi, ha immesso 255 miliardi di euro al tasso dell’1 per cento per le banche. Però gli istituti di credito hanno ridotto i prestiti alle famiglie (-1,29 miliardi di euro pari ad una variazione del -0,3%) ed alle imprese (-7,9 miliardi di euro pari al -0,8%), ma hanno aumentato del +44,3 per cento (pari a +92,89 miliardi di euro) l’acquisto di titoli di Stato.