L'agenzia di rating ha espresso una sostanziale sfiducia verso le riforme e le prossime politiche. Una decisione che ha gravi ripercussioni sui mercati e sugli investitori stranieri, anche se chi decide il downgrade è controllato dai grandi investitori
A pensar male si fa peccato, diceva Andreotti, ma ci si prende. Ed è stato impossibile, ieri, non pensar male – veramente male – dopo che a poche ore dal collocamento sul mercato dei Btp decennali, Moody’s ha declassato l’Italia di ben due posizioni. Nello scarno comunicato dell’agenzia, ci sono note d’apprezzamento sul lavoro che sta facendo il governo Monti, ma quello che si esprime tra le righe è una sostanziale mancanza di fiducia nell’Italia che sarà: nel 2013 ci saranno le elezioni politiche, e chi ci garantisce sulla continuità di quelle riforme? Si tratta, in buona sostanza, di un declassamento preventivo, di un processo alle intenzioni che ha, però, ricadute tremende sui mercati e sulla credibilità dell’azione risanatrice del governo sugli investitori stranieri. Insomma, un danno enorme. Tanto pesante da aver risvegliato dal torpore persino uno come il commissario Ue all’Economia Olli Rehn che ha parlato di “tempistica inappropriata e discutibile, e non è la prima volta che si pone la questione e l’Italia sta facendo sforzi senza precedenti”.
E’ inutile ricordare quanto possano essere state perniciose, in passato, le scorribande di Moody’s sulla nostra economia. Proprio ieri si è infatti chiusa l’inchiesta sull’agenzia di rating per manipolazione di mercato, con i primi due avvisi di garanzia che sono partiti all’indirizzo di Ross Abercromby, vice president e senior analyst financial institutions group Moody’s Investors Service, e Johannes Wassemberg, managing director financial institutions group Moody’s Investors Service. Per loro si ipotizzano i reati di aggiotaggio e manipolazione del mercato pluriaggravati . L’inchiesta, tanto per ricordare, prese le mosse dalla diffusione di giudizi falsi, infondati o imprudenti sul sistema economico, finanziario e bancario italiano. Ed era l’estate 2010. Prima di Moody’s il pm di Trani, Michele Ruggiero, aveva chiuso l’inchiesta su Standard & Poor’s. E anche la Corte dei Conti aveva aperto un fascicolo molto pesante, come pure la Consob. Insomma, in Italia si sono alzati gli scudi, ma i danni delle agenzie di rating sono piovuti direttamente sui mercati da oltre confine.
Altri esempi. Basta andare con ordine. E’ il 6 maggio 2010. A mercati aperti Moody’s diffonde notizie allarmanti sulla tenuta del sistema ecnomico e bancario italiano. Il tracollo della Borsa è inevitabile. Ancora, il 20 Maggio 2011. Standard and Poor’s, facendo previsioni negative a breve termine, pubblica un’analisi, poi ritenuta “infondata e tendenziosa”. Ancora punti persi dalla Borsa italiana, investitori in fuga. E siamo tra il maggio e il novembre 2011: più volte l’agenzia di rating Fitch annuncia l’imminente declassamento del rating dell’Italia, abusando di informazioni privilegiate. La borsa balla e il governo è in alto mare. Berlusconi è ancora in sella, ma ancora per poco. Ma l’evento più clamoroso si dipana il10 Novembre 2011. Nel pomeriggio, all’improvviso, Standard and Poor’s diffonde la notizia di un taglio di rating della Francia, che così avrebbe perso la tripla A. Sui mercati, ancora aperti, si scatena il terremoto, con un’ondata speculativa sia sui listini europei che su quelli americani. Poche ore dopo arriva la correzione dell’agenzia: la notizia è stata diffusa a causa di un errore tecnico, la Francia conserva la tripla A.
Il Commissario economico europeo, sempre lui, Olli Rehn interviene, definendo “impensabile che in una situazione di così grande incertezza dei mercati e di tensione economica internazionale possano verificarsi errori così grossolani”, e decide di aprire un’indagine per comprendere le responsabilità di quanto accaduto. Poi passano mesi difficili per l’Italia. Berlusconi cade, Monti sale al governo, comincia la stagione lacrime e sangue, ma il 13 gennaio 2012, a pochi giorni dal varo definitivo del decreto Salva Italia, da Standard and Poor’s arriva il declassamento a catena proprio nel pieno di un negoziato difficile, ostico e non indolore sulla gestione dell’enorme debito sovrano degli Stati membri della Ue. Nove stati europei, tra cui Francia (e stavolta è vero), Italia, Spagna e Portogallo e Austria, vengono retrocessi. Parigi perde la tripla A; stesso destino per Vienna, Roma passa in serie BBB+ da A. Olli Rehn se la prende con le agenzie di rating e spara a zero: “Hanno i loro interessi e svolgono il loro ruolo molto in linea con il capitalismo finanziario Usa”.
Anche stavolta, c’è chi ha fatto montagne di denaro grazie alla “destabilizzazione” economica di altri. A questo punto la domanda è d’obbligo: chi sono davvero queste agenzie di rating? E se sono così brave a prevedere il futuro economico di intere nazioni, perchè – per esempio – non hanno mai dato allarmi seri sull’imminenza di un poderoso crac industriale continuando a dare un buon rating a quelle società che poi implodono (Parmalat, bond argentini, Lehman Brothers, Enron, ecc)? La risposta è fin troppo semplice, se si vuole andare oltre l’apparenza. E’ che le agenzie di rating ormai rappresentano un’anomalia tanto palese quanto insostenibile. Perchè vivono e prosperano attraverso contratti miliardari per valutare l’affidabilità di soggetti pubblici e privati, pur essendo società quotate. E sono società private, indipendenti formalmente, ma non di fatto, visto che sono slegate da enti terzi come le banche centrali e il Fondo Monetario Internazionale, ad esempio. La loro stessa composizione societaria mette i brividi, con intrecci percentuali che in ogni paese europeo sarebbero immediatamente sanzionati dall’Antitrust.
Insomma, Standard & Poor’s e Moody’s, le maggiori società di rating del mondo, che con un downgrade possono scatenare reazioni a catena nei mercati e portare a scelte politiche con pesanti effetti economici e sociali, sono controllate dagli stessi grandi investitori che non esitano ad attaccare Stati e imprese quando si diffondono anche solo voci su possibili tagli dei rating. Negli Stati Uniti, dopo il “fattaccio” del 6 agosto 2011, è in corso un’indagine federale durissima: S&P avrebbe commesso sugli Usa un errore di 2000 miliardi di dollari. Questi soggetti, poi, sono pagati da clienti che essi stessi dovranno valutare. Consigliano le banche sul modo di strutturare prodotti che, una volta messi sul mercato, essi stessi dovranno giudicare. I loro dati sono fonti di valutazioni troppo spesso interessate eppure, nonostante spesso vengano spacciati dati falsi, nessun responsabile di Standard & Poor’s, che con un battito di ciglia inconsiderato crea l’effetto, quasi meccanico, di mandare in rovina milioni di persone, sarà mai punito. Giuridicamente, la sua “nota” dipende da un’”opinione”. Opinioni che stanno costando fin troppo care, all’Italia ma non solo. Adesso le prove contro quelli che sembrano mandanti della vera speculazione si stanno affastellando sempre più. E prima o poi, come si dice, i tanti sospetti finiranno per diventare prove. A Trani hanno già cominciato. Avanti la prossima Procura.