“È lontano, povero cristiano… avevo voluto rimanere altri due giorni”. Incurante della possibilità di essere intercettata, il 18 novembre 2008 Giuseppa Giampaolo commenta così la visita al marito ‘Ntoni Gambazza, all’anagrafe Antonio Pelle, l’ultimo patriarca della ‘ndrangheta di San Luca. Il boss arrestato nel giugno 2009, per un breve periodo della sua latitanza, si è nascosto a più di mille chilometri dalla Calabria, dal ‘suo’ territorio nella Locride. Era in Piemonte, a Bagnolo. Sono arrivate fin lì le indagini dei carabinieri del Ros che stamattina hanno arrestato 26 persone nell’ambito dell’inchiesta “Reale 5”.
Tra queste anche la moglie settantaseienne, alla quale sono stati concessi gli arresti domiciliari. È accusata di procurata inosservanza della pena. Un’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, che ha consentito di ricostruire la rete di fiancheggiatori del mammasantissima, per decenni padrone incontrastato del territorio di San Luca dove si nascondeva nei sofisticati bunker costruiti all’interno delle abitazioni dei familiari.
Quando la pressione degli uomini del Ros (allora guidati dal colonnello Valerio Giardina) si era fatta insopportabile, Pelle si è trasferito per qualche mese in Piemonte a dimostrazione (se ce ne fosse bisogno dopo le inchieste “Minotauro”, “Albachiara” e “Maglio”) di quanto il Nord Italia sia una terra “ospitale” per gli ‘ndranghetisti.
“La sua clandestina permanenza in Piemonte – scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – era garantita da Giampaolo Sebastiano e dal figlio Vincenzo, nella frazione Montoso del Comune di Bagnolo Piemonte, luogo dove, oltre che risiedere ormai da vari anni, i Giampaolo gestivano il ristorante ‘Il Rododentro’”.
La scelta del Piemonte non era frutto di casualità. La figlia del boss, Maria Pelle, spesso doveva recarsi nel carcere di Cuneo dove era detenuto il marito Francesco Vottari detto “u Frunzu”. Era un’ottima scusa per i familiari di Gambazza per recarsi a Bagnolo e rendere visita all’anziano latitante che, nel giugno 2009, è stato arrestato nell’ospedale di Polistena. Cinque mesi più tardi è morto in un lettino del nosocomio di Locri.
La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha fatto terra bruciata dei fiancheggiatori. Le manette ai polsi sono scattate anche per i figli del boss tra cui Giuseppe Pelle, la cui casa di Bovalino era diventata un luogo di pellegrinaggio per mafiosi, imprenditori e politici. “Noi siamo sempre stati di famiglia”, è una delle frasi intercettate all’interno del ‘salotto’ Pelle.
A proposito di ‘ndrangheta, poche ore prima dell’operazione “Reale 5”, un altro episodio inquietante si è consumato in riva allo Stretto. L’ennesimo ai danni del procuratore generale di Reggio, Salvatore Di Landro, lo stesso magistrato che si è visto distruggere l’ingresso dell’abitazione nell’agosto 2010. Erano trascorsi 8 mesi dalla bomba del 3 gennaio alla Procura generale di cui si è autoaccusato il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice.
Domenica pomeriggio, mentre Di Landro si trovava nella sua villetta di Bocale, ignoti hanno rotto il finestrino della macchina dei carabinieri che, in quel momento, erano di scorta al procuratore generale. Almeno tre i soggetti che hanno rubato all’interno della vettura la giacca della divisa di uno dei militari dell’Arma.
“Evidentemente il segnale è rivolto a me. Mi hanno voluto dire: ‘Facciamo quello che vogliamo’. Una prova di forza che non può essere tollerata dallo Stato che deve rendersi conto di questa criminalità che non si ferma davanti a nulla”. È stato l’unico commento a caldo di Salvatore Di Landro.