La terra continua a tremare in Emilia eppure, con due settimane d’anticipo rispetto alle previsioni del governo, i fondi sono già “pressoché terminati”. I 50 milioni di euro stanziati il 22 maggio dal consiglio dei ministri, e provenienti dal Fondo nazionale della Protezione civile rifinanziato “si stanno esaurendo – spiegano dal dipartimento – quindi abbiamo deciso di informare gli enti locali che la Protezione civile, con i pochi fondi residui, continuerà a occuparsi solo delle spese strettamente legate alla popolazione”. Mentre la ricostruzione sarà d’ora in avanti a carico delle Regioni, che però hanno ancora le casse vuote.
Dunque, se prima della comunicazione firmata dal capo del dipartimento Franco Gabrielli tutti i costi relativi ai soccorsi, all’assistenza agli sfollati e alla messa in sicurezza provvisoria dei siti pericolanti (le cosiddette opere provvisionali) erano a carico della struttura, che attingeva dal fondo, ora che sono arrivati i primi conti da pagare le spese vanno ridotte.
Tagli che partono direttamente dalla ricostruzione. La messa in sicurezza degli edifici, le demolizioni e gli sgomberi necessari prima di tutto a riconquistare i centri storici dovranno essere finanziati dalle Regioni. “Del resto – spiegano ancora dal dipartimento – non si parla più di interventi di emergenza a tutela dell’incolumità pubblica, come quando nei primi giorni c’era il rischio che un cornicione potesse crollare addosso ai passanti. Parliamo di interventi più complessi che riguardano interi fabbricati, magari a carattere storico o monumentale. Chiese pericolanti, il municipio di Sant’Agostino da demolire. Tutte situazioni delle quali continueremo a occuparci per quanto riguarda la fase del sopralluogo, dell’istruttoria insomma, chiedendo però ai commissari di sostenere i costi”. Farsi carico, quindi, di individuare “forme economiche sostenibili” per ricostruire.
Una decisione che viene presa “prima” che le casse siano vuote, sottolineano dal dipartimento, a smentire le voci secondo cui 47 dei 50 milioni di euro disponibili sul Fondo nazionale sarebbero già stati spesi per i vigili del fuoco e per la Protezione civile stessa. 14,5 milioni di euro sono destinati al ripristino e reintegro dei beni di pronto impiego per le zone terremotate (come ad esempio di tende, generatori e impianti elettrici campali, letti, moduli bagni), 10 milioni servono a pagare i materiali forniti dal dipartimento e dal Ministero dell’Interno e 4,5 milioni sono destinati a coprire i costi dei materiali di proprietà delle organizzazioni di volontariato e della Croce Rossa. Spiegazione che non ha del tutto placato le proteste dei sindaci emiliani allarmati dalla comunicazione inviata dalla Protezione civile, dal precoce esaurirsi delle risorse a fronte di una situazione, quella regionale, caratterizzata da nuove scosse e dalla paura, dalla tensione. Ma soprattutto dai debiti che si accumulano e dalle fatture da pagare.
“Le preoccupazioni dei sindaci nascono da una non corretta conoscenza della situazione generale – ha risposto la protezione civile con una nota – come spesso accade, sarebbe bastata una telefonata al dipartimento per acquisire tutti gli elementi necessari a valutare il reale stato delle cose”.
Ma per chi si trova a capo delle città devastate dai terremoti del 20 e del 29 maggio questa risposta “non è sufficiente”. Serve la garanzia che i soldi arriveranno. Le Regioni, che dovrebbero d’ora in avanti sostenere gli oneri della ricostruzione, non hanno ancora avuto accesso ai 2,5 miliardi di euro stanziati dal governo con il decreto legge 74, 2 miliardi dei quali, poi, devono ancora essere ripartiti tra le tre Regioni. E il commissario Vasco Errani stesso ha già chiesto al governo di rimpinguare le casse della Protezione civile per l’emergenza. Ancora, i fondi non ci sono.
“Non ci aspettavamo certo che i primi 50 milioni di euro sarebbero bastati — ha commentato Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro — Ora però vogliamo sapere dove dovremo prendere il denaro che ci occorre e quale somma ci spetta. Certo è che non smetteremo di farci sentire affinché arrivino gli aiuti adatti alla situazione”.
Quel che è chiaro, spiega Stefano Draghetti, sindaco di Cavezzo, è che “le opere provvisionali devono essere autorizzate e finanziate, non si può chiedere ai comuni di sostenere gli oneri derivanti dai lavori per la messa in sicurezza, né di impiegare le già poche risorse previste per la ricostruzione. L’emergenza va rifinanziata con risorse aggiuntive. Allo stesso tempo, non si può nemmeno pensare di rimandare gli interventi che, di fatto, impediscono alle persone di rientrare in casa e ai commercianti di riprendere le attività. La nostra zona rossa – ha aggiunto il sindaco, in accordo con l’opinione espressa dalla maggioranza dei colleghi emiliani – verrebbe notevolmente ridotta e si consentirebbe a molte persone di riprendere la quotidianità. Come con la messa in sicurezza del campanile della nostra città. Quei soldi ci servono e ci servono nell’immediato”.