E’ ufficiale: Bv Tech chiude i battenti. Dopo anni di cassa integrazione prima ordinaria e poi straordinaria finisce nella disoccupazione un percorso iniziato con una grande operazione immobiliare da parte della Regione Emilia-Romagna. A coronamento del fallimento anche una serie di corsi di formazione finanziati dall’Unione Europea e giudicati inutili dagli stessi operai. Ora per i 42 dipendenti dell’azienda che doveva occuparsi di informatica e che invece non ha mai iniziato realmente l’attività c’è solo un appello della Fiom, che chiede alle istituzioni di non abbandonarli.

“Abbiamo lanciato più volte l’allarme chiusura – tuona Marco Colli della Fiom-Cgil – abbiamo parlato con tutte le istituzioni, Comune e Regione compresa. Tutti ci hanno detto che quello che stava succedendo era una scandalo. La verità è che ormai delle parole dei politici gli operai senza lavoro se ne fanno ben poco. Il sindaco Merola all’epoca si dichiarò garante dell’operazione. Dove sono finite le sue garanzie?”.

Colli ci tiene a ricordare la storia dei lavoratori della Bv Tech: ex dipendenti pubblici dei monopoli di stato, gli operai hanno visto la loro attività prima privatizzata e poi ceduta alla British American Tobacco. Alla fine la chiusura, con la Regione che per soli 21 milioni di euro si portava a casa i 100mila metri quadri della ex Manifattura Tabacchi. Destinazione: la creazione di un Tecnopolo con mille posti di lavoro. Come è finita è sotto gli occhi di tutti: il Tecnopolo non si è ancora visto e giace in stato di quasi completo abbandono mentre i 42 lavoratori della Bat (allora poco meno di un centinaio) sono stati parcheggiati in Bv Tech, azienda che avrebbe dovuto riconvertirne la professionalità con corsi di formazioni pagati con soldi pubblici (quasi 300mila euro il costo complessivo) e che si sono rivelati inutili e troppo complessi per la formazione degli operai.

“Sono tutte persone con un’altissima specializzazione – spiega Marco Colli – sanno montare ad occhi chiusi una macchina automatica ma non gli si chieda di diventare programmatori”. I pochi che sono stati messi al lavoro negli anni scorsi non si sono certi occupati di informatica: chi al telemarketing, chi alle interviste di gradimento sui bus di Mantova, chi a sistemare i campi da calcio a Milano Marittima. Ora l’annuncio della messa in mobilità di tutti i dipendenti. Inutili le dichiarazioni che negli scorsi mesi hanno puntellato l’agonia di un’azienda mai nata e che la Fiom ha definito “fantasma”. “Pensiamo che ci sia stato un qualche accordo per tenere occupati i lavoratori per un lasso di tempo stabilito, e poi chiudere tutto. Ci sentiamo ingannati”, ha spiegato tempo fa Bruno Papignani, segretario regionale delle tute blu della Cgil.

I 42 dipendenti hanno un’età che varia tra i 40 e i 55 anni. Per nessuno di loro sarà possibile attivare misure “paracadute” per arrivare in qualche modo all’età pensionabile, comunque troppo lontana dopo le recenti riforme pensionistiche. “Riassumendo una società scatola-vuota ha intascato 300mila euro di corsi di formazione, ha beneficiato degli sgravi fiscali per avere assunto lavoratori in lista mobilità ed è stata ospitata gratuitamente negli spazi di proprietà della Regione. In tutto questo – conclude Colli – le istituzioni non hanno avuto la forza di fare nulla. Se non è miopia questa non saprei come chiamarla”.

 

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