Il gup del tribunale di Palermo ha assolto il politico dall'accusa, citando l'articolo 530 del codice di procedura, vale a dire la vecchia insufficienza di prove. Il pm Di Matteo aveva chiesto la condanna a otto anni di reclusione
Incompletezza, contraddittorietà o insufficienza della prova. È il comma (il secondo dell’articolo 530 del codice di procedura penale) con cui il gup Ferdinando Sestito ha assolto l’ex ministro delle politiche agricole Saverio Romano dall’accusa di concorso esterno a Cosa Nostra. Per l’esponente del Pid, il pm Antonino Di Matteo aveva chiesto 8 anni di reclusione.
Video – le lacrime di Romano dopo l’assoluzione
“Noi puntavamo ad un’assoluzione piena: è un fatto però che si sono dovuti aspettare otto anni prima di avere un verdetto assolutorio di primo grado”, è stato invece il commento soddisfatto dell’avvocato Raffaele Bonsignore, legale di Romano insieme all’avvocato Franco Inzerillo. “Nel 2003 quando ho ricevuto l’avviso di garanzia ho scelto di lasciare la mia attività di avvocato, la mia toga è pulita e spero di poterla presto consegnare a mio figlio” ha invece detto Romano, che poco prima che il giudice Sestino si ritirasse in camera di consiglio ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee, interrompendosi a più riprese per l’emozione.
“In questi anni – ha continuato l’ex ministro – ho più volte giurato sulla Costituzione e le leggi dello Stato che non ho mai tradito. Amo questo Paese ed è surreale trovarmi qua. Ho svolto la mia attività di parlamentare nonostante la mafia, da cui ho anche subito messaggi di morte, che ho denunciato ai carabinieri e non sui giornali. Io ho scelto di contrastare il fenomeno mafioso”. Secondo l’accusa Romano aveva instaurato un “patto politico elettorale mafioso” con Cosa Nostra sin dal 1991, parallelamente a quello instaurato da Salvatore Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia che sta scontando sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato.
I legali di Romano hanno rilevato invece come le indagini della procura si concentrassero soltanto in alcuni periodi circoscritti, contestando anche l’attendibilità dei collaboratori di giustizia. Primo fra tutti l’ex presidente del consiglio comunale di Villabate Francesco Campanella, che aveva raccontato ai magistrati dell’ormai famoso incontro con Romano a Campo dei Fiori nel 2001. “Francesco vota per me perché siamo della stessa famiglia: scinni a Villabate e t’informi” avrebbe detto l’ex ministro, riferendosi alla possibilità che Campanella non votasse per lui alle elezioni politiche del 2001. “Quella frase per intero non la dice nessun altro, a parte Campanella, che quindi non è completamente riscontrato” aveva rilevato la difesa di Romano. L’ex esponente dell’Udc, dopo le commosse dichiarazioni spontanee, si era allontanato per aspettare la sentenza insieme alla famiglia. In aula sono invece rimasti decine di suoi sostenitori, molti dei quali di Belmonte Mezzagno, il paese d’origine di Romano e anche di uno dei suoi accusatori, il collaboratore di giustizia Giacomo Greco. Tra il pubblico anche l’ex consigliere comunale di Palermo Doriana Ribaudo che durante le dichiarazioni spontanee ha pianto.