Per il Guardasigilli il quesito è stato posto "correttissimamente" alla Corte Costituzionale. Per Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia: "I magistrati di Palermo hanno agito in buona fede, secondo come ritenevano fosse giusto applicare la legge Ora la questione è in buone mani, deciderà la Consulta”. E aggiunge "nessuna pressione dal Quirinale"
”Qualsiasi sia la decisione della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione nella vicenda delle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta di Palermo l’importante è mantenere la segretezza delle telefonate del Capo dello Stato”. E’ la dichiarazione del ministro della Giustizia, Paola Severino, all’incontro con la stampa durante la sua visita a Mosca.
Ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollevato il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta per le conversazioni intercettate con l’ex ministro dell’Interno e ex presidente del Senato Nicola Mancino, indagato nell’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia della Procura di Palermo. In è già successo che l’inquilino del Quirinale fosse intercettato. E’ il caso di Oscar Luigi Scalfaro che nel 1993 fu intercettato mentre conversava al telefono con l’allora amministratore delegato della Banca Popolare di Novara che era indagato nell’ambito dell’inchiesta milanese sulla bancarotta della finanziaria svizzera Sasea. Ci furono interpellanze e polemiche, ma il Quirinale non intervenne.
“L’aspetto più importante è mantenere la segretezza intorno al contenuto di telefonate che possano riguardare figure istituzionali protette per il loro ruolo istituzionale” ha spiegato il ministro rispondendo ad una domanda. “Qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche. Il problema – ha osservato il Guardasigilli che è avvocato di fama – non è affatto se il comportamento tenuto dalla procura di Palermo sia stato o meno corretto sotto il profilo della intercettabilità di una telefonata. Se si è trattato di una intercettazione casuale si poteva fare, ma il tema non è se si poteva o non si poteva intercettare, e questo è bene chiarirlo perché da questo equivoco ne possono nascere molti altri. Il problema – ha aggiunto – è se debba avere prevalenza una certa interpretazione della legge costituzionale che riguarda le garanzie del presidente della Repubblica o se si debba applicare la normativa comune in materia di utilizzazione e utilizzabilità delle intercettazioni. Il tema è tutto qui, vedere se anche per le intercettazioni che casualmente e quindi lecitamente hanno riguardato il capo dello Stato si debba applicare la procedura prevista dal codice per tutte le intercettazioni o una normativa speciale. Il quesito posto correttissimamente alla Corte costituzionale è se il presidio delle garanzie riguardanti il capo dello Stato si estende anche al campo procedurale, non attivando l’udienza filtro sulle intercettazioni”, ha concluso, ribadendo che “non c’è contrapposizione tra poteri dello Stato” e che “si tratta di una questione estremamente delicata e seria”.
Antonio Di Pietro, leader dell’Idv rispolvera una frase che non si sentiva da tempo, invitando la procura di Palermo a “Resistere, resistere, resistere”. Mentre al presidente della Repubblica chiede: “Si rende conto che una scelta così drastica non nobilita le istituzioni, ma le mortifica? Ecco perchè mi sento mortificato per la sua scelta molto chiusa nell’interpretare la Costituzione”. Poi Di Pietro entra nel merito, ricordando a Napolitano che, “stiamo parlando di un’indagine che riguarda la trattativa tra Stato e mafia e c’è il dubbio che persone di altissimo rango istituzionale, in questo caso stiamo parlando dell’allora ministro degli Interni, di altri esponenti del governo di allora e dell’allora ministro della Giustizia, abbiano raggiunto un accordo al ribasso con elementi di spicco della mafia al fine di garantirsi l’incolumità personale, mentre altre persone, tra cui Falcone e Borsellino, venivano ammazzate. In una situazione di questo genere, ma proprio su questo processo, signor presidente, lei ha trovato opportuno sollevare una questione di conflitto di attribuzione?”.
Sul tema interviene anche Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia: “I magistrati di Palermo hanno agito in buona fede, secondo come ritenevano fosse giusto applicare la legge. Ora la questione è in buone mani, deciderà la Consulta”. Dal Quirinale “sono stato chiamato a dare contezza della mia funzione istituzionale di coordinamento, non ho subito alcuna pressione” a proposito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa “e neanche i magistrati di Palermo hanno subito pressione, come dichiarato fin dall’inizio”. “In un’indagine – spiega il procuratore antimafia a margine di un’audizione in commissione Giustizia alla Camera dei deputati – chi cerca la verità non può farlo sotto pressione, ma è importante anche la collaborazione degli altri: per vicende così datate nel tempo serve qualcuno che ricostruisca quello che è successo tanti anni fa, servono le dichiarazioni spontanee di chi sa. E’ – ha aggiunto Grasso rispondendo sul conflitto sollevato da Napolitano – una questione giuridica, il nostro ordinamento non prevede una norma specifica, bisogna aspettare il giudizio della Consulta. Il capo dello Stato non può essere intercettato, lo è stato in modo occasionale. E’ giusto che un giudice terzo, la Consulta, decida come bisogna comportarsi in questi casi”.