Il Pd ha un difetto di fabbrica. Liquida così la polemica epocale, sorta sabato scorso nell’assemblea nazionale dei democratici, il presidente onorario di Arcigay, e consigliere regionale Idv dell’Emilia Romagna, Franco Grillini: “L’ogm Partito Democratico è fallito. Impossibile mettere insieme cattolici integralisti e socialdemocratici. I cattolici osservanti/vaticanisti hanno una regola ferrea: su certe cose non si media. E la questione della parità di diritti tra coppie gay ed etero è una di queste”.
La contestazione più forte al caos provocato dalle parole di Pierluigi Bersani arriva proprio da Bologna, punto geografico dove aspetto simbolico e materialità dei fatti hanno contribuito a riconoscere storicamente il movimento per i diritti omosessuali in tutta Italia. A partire da quando nel giugno del 1982 l’allora sindaco di Bologna targato Pci, Renato Zangheri, offrì, non senza polemiche da parte del mondo cattolico, la storica sede pubblica del Cassero di Porta Saragozza alla nascente Arcigay.
“Stentano ancora a riconoscere l’importanza di ciò che gli dice la base”, spiega il membro del consiglio direttivo de Il Cassero, Bruno Pompa “le questioni legate ai diritti gay sono state messe in agenda come prioritarie dal PCI, poi dal PDS e infine dal PD, inserendo nelle liste elettorali esponenti dell’Arcigay e contribuendo al dibattito interno, ma ora siamo arrivati a un livello imbarazzante. Quando certi argomenti vengono definiti “beghe interne” o una persona come Rosy Bindi afferma che “piuttosto di dare in affidamento un bimbo a una coppia gay preferisco muoia di fame in Africa”, ci sentiamo presi in giro”.
Sergio Logiudice, consigliere comunale del PD, siede a Palazzo d’Accursio da tre legislature e con centinaia di preferenze personali vero punto di riferimento dell’Arcigay – Il Cassero in Comune, rincara la dose: “La sintesi di Rosy Bindi, fatta sabato in assemblea nazionale, è inadeguata ed è un errore affidare un tema del genere a una dirigente come lei, fuori dai tempi e dal dibattito politico, sociale e giuridico. Addirittura la Corte Costituzionale è su posizioni più avanzate. In autunno, quando si tornerà a parlare della questione all’interno della direzione nazionale – ma anche in sede locale – lo si dovrà fare su un piano razionale e non religioso”.
Un’inedita scollatura tra PD locale e PD nazionale dietro cui si intravedono futuri squilibri interni: “In fondo dentro al partito si è smesso di dare retta al bacino del movimento. L’elezione in Parlamento di Paola Concia è stata un’esclusione del movimento Lgbt e si è rivelata una semplice promozione all’interno del partito stesso”.
“Nonostante la rincorsa del partito verso le forze di centro”, prosegue Pompa, “a Bologna i nostri referenti come il sindaco Merola, sono abbastanza ricettivi”. “E’ vero, a Bologna gli esponenti del Pd sono un po’ meglio di quelli della segreteria nazionale”, gli fa eco Grillini, “ma ricordiamoci che poche ore fa anche Merola ha sostenuto che prima dei diritti gay ci sono i tagli della spending review. E soprattutto mettere i diritti civili di gay e lesbiche in secondo piano è un difetto storico che proviene dalla cultura del vecchio Partito Comunista: per loro c’è sempre stato qualcosa di più urgente da risolvere”.
Tra le ipotesi per far sentire meglio il proprio dissenso si fa largo la pista del referendum interno, ma anche l’idea di non partecipare con un proprio stand alla prossima festa de L’Unità provinciale: “Noi non chiediamo di essere ospitati. Se il PD ci dà visibilità bene, altrimenti possiamo fare come l’anno scorso quando D’Alema si espresse sulla questione omosessuale con parole che non ci piacquero, chiudemmo il nostro spazio per poi chiarirci privatamente con lui”.
“Si potrebbe fare di più”, aggiunge Grillini, “vale la pena che l’Arcigay non partecipi alle Feste de L’Unità in modo da usare questa assenza come minaccia per un confronto definitivo dove il Pd dichiara se è d’accordo o meno con le nostre proposte. Insomma, dimostrino di essere con noi”.