Come consulente di Medicina Democratica ho avuto modo di assistere, nello scorso febbraio, alla sentenza di primo grado del Processo Eternit a Torino, fornendo una mia cronaca di quel giorno perlomeno diverso dal solito. In quell’occasione fu condannato anche Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, riconosciuto colpevole di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
La Procura di Torino, con Antonio Guariniello e il suo pool, gli ha chiesto conto di 2.100 morti e oltre 800 malati, principalmente nella zona di Casale Monferrato. Il miliardario svizzero ha fornito e mantenuto in uso a privati ed enti pubblici materiali di amianto, determinando un’esposizione incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante, senza informare gli esposti circa la pericolosità dei materiali e per giunta inducendo un’esposizione di fanciulli e adolescenti anche durante le attività ludiche. Il reato di disastro si è consumato anche nelle abitazioni dei lavoratori, proprio per aver omesso di organizzare al lavoro la pulizia degli indumenti, che gli operai portavano a casa, esponendo così familiari e conviventi all’amianto: si è omesso di adottare i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l’esposizione all’amianto, di curare la fornitura e l’effettivo impiego di apparecchi di protezione, di sottoporre i lavoratori ad adeguato controllo sanitario, di informarsi e informare i lavoratori circa i rischi specifici derivanti dall’amianto e le misure per ovviare a tali rischi. Condannato a 16 anni in primo grado.
Durante il processo, Stephan Schmidheiny si distingue anzitutto per la sua attitudine alla ritirata: non si è mai presentato alle udienze. Giudizi molto grossi sono stati scritti su di lui da moltissimi. Fin qui, pare una figura assolutamente e del tutto negativa: ma c’è anche un altro lato, il filantropo svizzero “verde”, molto “verde”. Stephan Schmidheiny non cura solo i propri affari, ma anche la propria immagine. Sul suo sito internet, i pezzi celebrativi e la messa in luce dei suoi successi e della sua riconversione in affari etici, essenzialmente in America Latina, abbondano. La sincerità di questo suo impegno viene oggi violentemente contestata dalle vittime dell’amianto, che vedono in questo “altro lato” sudamericano una vasta operazione di riabilitazione effettuata tramite l’ecologia, un “green-washing” ottenuto mediante un vasto utilizzo del proprio denaro, denaro venuto a disposizione anche grazie all’amianto.
Abbiamo guardato le tempistiche passate, ed esse colpiscono per una certa sincronicità: se nel 1982/1983 Schmidheiny ha ormai compreso appieno i pericoli dell’amianto e combatte tuttavia una battaglia di retroguardia, propugnando ancora per un poco un “uso saggio dell’amianto”, prima di mollare completamente una battaglia vista ormai persa. Si impegna infatti – finché si può – con una società di comunicazione a Milano, la “K Bellodi”, per disinformare la stampa con relazioni scritte da medici compiacenti. Riesce così a guadagnare qualche anno, mantenendo l’incertezza sui pericoli dell’amianto e continuando ad accumulare da un lato denaro, e dall’altro esposizione alle vittime e quindi morti future per mesotelioma. Ma a poco a poco la terribile verità è evidente: l’amianto è un veleno mortale. Allora, proprio in quegli anni, proprio mentre le esposizioni ed i futuri mesoteliomi sono ormai una realtà in fieri, nel 1984 inizia l’avventura ecologistico/capitalista/illuminata in Sudamerica, a Panama: crea Fundes, una fondazione che va in aiuto ai piccoli imprenditori dell’America Latina per facilitarne l’accesso ai crediti, per lottare contro la disoccupazione. E’ tempo dei primi passi verso la “filantropia organizzata”, scrive sul suo sito internet. Schmidheiny crea quindi il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) e diventa un leader “verde” rispettato dalla comunità internazionale.
Quanto sforzi, quanta attenzione, quanto denaro profuso. Un’operazione enorme. Forse si può anche, dall’alto di una fortuna stimata in 2,9 miliardi dollari, passare da imperatore globale dell’amianto a paladino dell’ecologia, dello sviluppo sostenibile, a benefattore dell’umanità. Però occorrerebbe prima ammettere le proprie responsabilità e rigettare il passato in maniera non ambigua, prendendosene anche le responsabilità: è invece notizia fresca che Schmidheiny ha presentato ricorso contro la sentenza Eternit, non ha intenzione di pagare i risarcimenti accordati alle vittime e spera, secondo i suoi legali, in una riapertura del processo in tre-cinque mesi. Non ci pare questa sia un’operazione che intelligentemente vada nella direzione di una buona immagine pubblica: costerebbe molto meno, in ogni senso, materiale e morale, chiedere scusa.