Mentre si attende la decisione dei giudici sul possibile sequestro dell'area 'a caldo' dell'impianto, istituzioni e sindacati pensano già a ciò che sarà. Per il Gruppo Riva è arrivato il momento "dell'assunzione di responsabilità da parte di tutti"
“Noi non ci stiamo, giù le mani dal nostro stabilimento”: era la scritta di uno degli striscioni che nel marzo scorso furono esposti durante la grande marcia dei dipendenti dell’Ilva di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, oggi sotto la lente della procura tarantina per il rischio ambientale che rappresenta: si teme l’imminente decisione, da parte dei magistrati, di sequestro degli impianti, in particolare dell’area ‘a caldo’, quella ritenuta più inquinante dello stabilimento, nella quale lavorano circa 5.000 persone. Una ipotesi che fa tremare i polsi: per le decisioni a livello giudiziario – che possono venir prese sulla base dei gravi risultati di due perizie disposte dal gip – in gioco non c’è solo il futuro di Taranto, ma quello del Gruppo in tutta l’Italia.
Per scongiurare ogni ipotesi di chiusura è cominciata una corsa contro il tempo che culmina nell’incontro convocato a Roma per domani dalla presidenza del Consiglio dei Ministri con organizzazioni sindacali, politici, istituzioni. Si guarda dunque al futuro ma di fatto c’è sul tavolo l’eredità di 140 anni di industria pesante a Taranto: di valori sballati nella terra, nell’aria, negli alimenti e persino nel latte materno. Tanto da costringere già da qualche anno la Regione Puglia a far ammazzare interi allevamenti di capre e bestiame perché risultati contaminati dalla diossina e il sindaco di Taranto, due anni fa, a emettere una ordinanza con cui si vieta ai bambini del rione a ridosso dell’Ilva, il quartiere Tamburi, a giocare per strada.
Le tute blu degli operai dell’Ilva e quelle bianche degli amministrativi sfilarono in migliaia a marzo per difendere il posto di lavoro ma nei loro occhi si leggeva chiara una domanda: “E la salute dei nostri figli?”. Taranto, dunque, dopo tanti allarmi cerca un equilibrio tra il diritto al lavoro e quello alla salute. E’ chiaro che nell’incontro di domani si tornerà a battere cassa: il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, chiederà che venga saldato il conto nei confronti di una città devastata da decenni di scelte “irresponsabili” e chiederà 200 milioni di euro perché possano cominciare le bonifiche. Vendola chiederà al governo, annuncia l’assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro, “la stessa concretezza dimostrata dalla Regione Puglia” che ieri ha approvato all’unanimità una legge contro l’abbattimento delle polveri sottili.
Ma è possibile che domani sul tavolo di palazzo Chigi – si è appreso – ci possa già essere un piano che si sta mettendo a punto. “Ci sono state informazioni aggiuntive sulle emissioni degli impianti per questioni che erano rimaste aperte nella procedura” di Valutazione di impatto ambientale, ha detto oggi il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, facendo riferimento ai problemi che emergono anche dai depositi dei materiali. Sulla base di queste nuove informazioni, ha aggiunto, abbiamo “riaperto la procedura per affrontare queste tematiche. E’ un’integrazione”.
Intanto il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, ha scritto una lettera al presidente nazionale dell’associazione degli industriali, Giorgio Squinzi, affinché sia il caso Taranto sia quello dello stabilimento siderurgico entrino a far parte dell’agenda di Confindustria nazionale. “Forte preoccupazione per le prospettive del sito industriale di Taranto e di tutto il gruppo Ilva” è stata espressa in una nota congiunta dalle segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm, da quelle territoriali di Taranto e di Genova e dalle Rsu dopo aver incontrato a Milano il management dell’azienda siderurgica. Una cosa è certa, e lo dice a chiare lettere il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante: “E’ il momento dell’assunzione di responsabilità da parte di tutti”.
Il vertice di Palazzo Chigi e la legge regionale
Bonifica del territorio tarantino e riduzione degli inquinanti attraverso una nuova legge, quella approvata appunto ieri con voto unanime dal consiglio regionale, che introduce la valutazione del danno sanitario: questa la strategia messa in campo a livello istituzionale e politico pugliese per mandare un segnale alla magistratura, pur senza interferire nell’attività. L’obiettivo è cercare di evitare quella prospettiva che in molti a Taranto ritengono ormai imminente, ovvero il sequestro di una serie di impianti dell’Ilva a conclusione dell’inchiesta della Procura per disastro ambientale colposo e doloso che vede indagati i vertici della aziendali, fra cui gli ex presidenti dell’Ilva, Emilio e Nicola Riva, e l’ex direttore del siderurgico tarantino, Luigi Capogrosso (Nicola Riva e Capogrosso si sono dimessi dagli incarichi nei giorni scorsi). Molta importanza viene data a Taranto all’aspetto delle bonifiche ambientali in quanto, si osserva, l’inquinamento evidenziato anche dalle perizie della magistratura deriva da oltre 50 anni di industrializzazione pesante e l’Ilva, prima di essere privatizzata dall’Iri nel 1995 e ceduta al gruppo privato Riva, è appartenuta allo Stato attraverso l’Iri e la Finsider. Cento milioni è la dote che la Puglia ha dichiarato di mettere a disposizione per le bonifiche di Taranto: l’impegno è stato assunto dal presidente Vendola nei giorni scorsi. Regione e parlamentari pugliesi chiedono ora al Governo di stanziare altri 200 milioni in modo da fornir al piano delle bonifiche una prima dote finanziaria.
Nichi Vendola: “All’Ilva inquinamento di Stato”
A Taranto ”in oltre un secolo”, tra Marina Militare, siderurgia, polo della chimica e le cementerie “c’è stato inquinamento di stato per decenni e decenni, e c’è un principio in Europa e che dice ‘chi inquina paga’”. Questa la posizione del governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, che domani parteciperà all’incontro a Palazzo Chigi sul caso Ilva. Il governatore ha ribadito che la Regione metterà 100 milioni di euro “ma al tavolo con Monti mi aspetto che il governo ne metta per lo meno altri duecento – ha detto Vendola – per cominciare, almeno credibilmente, le bonifiche in mare e in 150-160 chilometri quadrati di area industriale”. Bonifiche che per Vendola “non sono una toppa sul buco, ma sono un ciclo economico rilevante”.
Il piano di risanamento del rione Tamburi
“A seguito del superamento nel triennio 2009-2011 del valore obiettivo di concentrazione per il Benzo(a)Pirene e della concomitanza del superamento del numero di superamenti ammissibili di concentrazione massima giornaliera per il Pm10, è stato avviato il lavoro di predisposizione di un piano di risanamento per il quartiere Tamburi di Taranto, influenzato principalmente dalle sorgenti della zona industriale di Taranto e Statte”. Così l’assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro, ha illustrato l’approvazione in Giunta del Piano di risanamento predisposto per il quartiere tarantino che si trova vicino ai principali insediamenti di fabbriche della città e in particolare allo stabilimento siderurgico Ilva. “L’iter di redazione del piano – ha aggiunto Nicastro – ha avuto anche delle fasi di confronto con alcuni dei soggetti industriali coinvolti per recepire anche delle proposte tese a ridurre le emissioni. Nei giorni di particolare criticità climatica, i cosiddetti ‘Wind Days’ – ha sottolineato l’ex pm – all’attività di cokeria viene prescritto di ridurre le operazioni di caricamento, sfornamento e spegnimento di un 10 per cento, mentre a tutte le attività industriali presenti nell’area e soggette ad Autorizzazione Integrata Ambientale che presentano materiali polverulenti stoccati in aree esterne, viene prescritto di ridurre la movimentazione dei materiali stoccati all’esterno, filmare o bagnare in maniera doppia rispetto al solito le materie prime, ridurre del 50 per cento la velocità dei mezzi su pista all’interno degli stabilimenti e, infine, di ridurre del 10 per cento il flusso di massa di emissioni in aria per gli inquinanti del Piano”.
Parallelamente a questo e per raggiungere la progressiva e definitiva diminuzione delle concentrazioni di Pm10 nell’aria “il piano – ha proseguito Nicastro – prevede che le aziende provvedano alla completa copertura degli stoccaggi esistenti all’aperto. In attesa che ciò avvenga, gli accumuli di materiale dovranno essere delocalizzati in zona sufficientemente lontana dal centro abitato e dalla strada che separa il rione Tamburi dallo stabilimento Ilva o ridotti del 19 per cento rispetto alla giacenza media del 2011 allo scopo di limitare l’altezza massima dei cumuli e la conseguente asportazione di polveri per l’azione del vento”.
All’entrata in vigore del piano le aziende dovranno presentare una relazione tecnica, la cui validità sarà esaminata da Arpa Puglia, l’agenzia regionale per l’ambiente, che descriva le modalità di adeguamento entro un termine specificato. “Ulteriori interventi – ha continuato Nicastro – sono previsti, all’interno del piano, sulla circolazione dei veicoli pesanti nell’area con particolare riferimento a quelli superiori ai 35 quintali, di tipo Euro 0, 1 e 2 per i quali sarà interdetta la circolazione all’interno del quartiere Tamburi, ad eccezione dei mezzi pubblici o di pubblica utilità che dovranno garantire servizio durante le ore notturne. Previste misure anche per le emissioni relative alle attività portuali in relazione allo stazionamento ed alle manovre dei mezzi per la cui riduzione è auspicabile l’elettrificazione delle banchine per il funzionamento dei sistemi a navi ferme”.