Puntarella Rossa ha provato, per i lettori di Piacere Quotidiano, il nuovissimo Red di Roma. Dove il gusto incontra (o dovrebbe incontrare) la cultura inventandosi nuovi sapori e un rivoluzionario "spazio esperienziale". Ma il dibattito tra sostenitori e detrattori è appena agli inizi
C’era bisogno de La Feltrinelli Red (Read Eat Dream)? Domanda impertinente, ma forse necessaria. Già, perché seguendo la moda della sinistra gourmet – vedi il Carlìn Petrini di Slow Food e del Salone del Gusto, vedi l’Oscar Farinetti di Eataly – anche l’imprenditore democratico per definizione ha deciso di fondare un nuovo supermercato del gusto, infilando nelle sue librerie prosciutti, vino e ristorantini. Se una volta i grandi spazi erano sinonimo di scarsa qualità, vedi gli autogrill, i supermercati, i fast food, la nuova moda prevede di portare la qualità alle masse, di sposare marketing e diversità. Il primo Red ha appena aperto a Roma, in via del Corso. Altri ne seguiranno. E così vince (ma non convince del tutto) un nuovo gigantismo culturale e gastronomico, che spinge il nuovo ceto gourmet a dimenticare il polveroso mantra “piccolo è bello”. Mentre Oltralpe vincono la bistronomia e la Petite cuisine à Paris, microristorante con due coperti, da noi ci si muove a torme con il carrellino in cerca del sacro cacio. Dimenticato Umberto Eco, con le sue provocazioni: per lui il museo perfetto dovrebbe avere un solo quadro. Niente da fare, ormai ci aspettiamo che nasca il Brico Center dei pistacchi di Bronte, che si imponga l’Auchan del fico secco di Carmignano, la Despar della lenticchia di Ustica e delle alici di Cetara.
Ma come si mangia da Red? Con alti e bassi. Ottime le materie prime, buona le idee delle tapas di livello. La cucina è raffinata e vuole reinventare la tradizione italiana: ci sono piatti ottimi, come l'”hamburger di tonno all’incontrario” e la tagliata di Fassona, altri più che azzardati come il risotto alla carbonara (che c’azzecca l’uovo con il risotto?) o deludenti come il galletto alla plancha. Red è uno spazio tutto sommato gradevole, arioso. Si legge, ci si siede in poltrona, si usano gli iPad a disposizione. Feltrinelli lo vende come un “social network dal vivo”, L’impressione, però, passeggiando per la libreria (si può chiamare ancora così?), è quella di spaesamento da non luogo. Sono 650 metri quadri da percorrere, 20mila libri, 700 referenze food. Per un attimo hai la sensazione di trovarti in un duty free, in uno di quei negozi da spazio di transito, aeroporto, stazione. Tutto molto carino, per carità, che da Feltrinelli ci sanno fare. Quanto all’antico adagio del perfido ex ministro Tremonti, “con la cultura non si mangia”, qui c’è la smentita netta: il raffinato Simenon riposa sazio vicino a pacchi di pasta e di caffè, Gramellini occhieggia a un olio extravergine con spremitura a freddo. Nessuno snobismo, ma il connubio tra libri e cibo pare un po’ forzato e troppo insistito: ovunque libri di cucina e di ricette, allusioni, metafore, aforismi. Questo continuo dare di gomito al visitatore, con i “libri croccanti di stampa” e simili, alla lunga, annoia. E non entusiasma il banco frigo, del tutto simile a quello dei supermercato, pieno di insaccati imbustati nella plastica. Prodotti talvolta anomimi, con qualche guizzo (vedi la salama da sugo).
Scavalliamo la sala con la merce in esposizione, ed eccoci alla sala del ristorante, dato in gestione alla Focacceria San Francesco. La meritoria focacceria, nota per le sue battaglie anti-pizzo, ha deciso di abbandonare la sicilianità e di darsi al “glocal”, come lo chiamano, reinterpretando i piatti della tradizione locale. Ci accoglie un bel bancone, con una serie di tapas che si possono consumare sul posto. Il comunicato ufficiale di Feltrinelli minaccia di rendere la cucina uno “spazio esperienziale”. Meglio non approfondire. La sala è gradevole e luminosa. Il bancone è molto bello. I difetti sono il numero eccessivo di tavoli, alcuni molto vicini, e una vaga impressione di mensa aziendale di lusso. Le pareti sembrano di cemento, ma sono di cartone. Bella la cucina a vista, dove dominano Massimiliano Sepe (omonimo del Sepe ex Salotto Culinario), resident chef, e Davide Castoldi, executive chef che sovrintende il tutto e che poi, una volta avviata l’operazione, darà una mano alle altre aperture di Red. Il menu è ricco, i prezzi nella media. Ci sono antipasti come mozzarella di bufala campana da 10 euro, primi come maccheroncini al ragù di coniglio a 12 euro. I secondi si aggirano intorno ai 16 euro. Ed eccoci al “Riso acquarello pensando alla carbonara” (12 euro). La cameriera che ce lo spiega è molto preparata e convincente. L’idea a qualcuno sembrerà geniale, ad altri strampalata. Purtroppo noi stiamo nella seconda categoria: vedere un uovo appoggiato sul risotto con pezzi di albume che navigano tra i chicchi lascia qualche perplessità. L’assaggio conferma il pregiudizio: la cottura del risotto è buona e l’uovo è cotto con grande cognizione di causa. Ma i sapori non si sposano e alla fine resta la grande inevitabile domanda: perché?
Tra i piatti forti, si segnalano l’hamburger di tonno all’incontrario (con il tonno al posto del pane), servito con le patatine fritte. Gustoso, saporito, anche se decisamente non abbondante. L’hamburger con “insalatina di rinforzo” e patatine (16 euro) è fatto con carne La Granda. Già sentita? Per forza, ormai impazza ovunque. La trovate da Eataly e non è un caso, visto che Farinetti se l’è comprata. Non poteva mancare da Red. Risultato? Ottima la carne, ma il complesso risulta un po’ secco. Va peggio, molto peggio, con il galletto alla plancha (La Granda, naturalmente), con verdurine alla senape (16 euro): decisamente triste e solitario l’aspetto, insapore la sostanza (non pervenuta, o quasi, la senape). Va meglio, molto meglio, con la birra, una spettacolare ReAle Extra della Birra del Borgo (13 euro). L’insalata (8 euro) è fornita in una porzione inutilmente gigantesca. Unico guizzo, i pezzi di mango. Straordinario, invece, il cannolo fai-da-te. Seguendo la moda del tiramisù decostruito (a Roma lo si trova al Caffè Propaganda e all’Osteria Mavi), ti portano un cannolo vuoto, da riempire con le scaglie di cioccolato, i pistacchi, le scorze d’arancia e una fantastica ricotta. Alla fine ce ne usciamo sazi, con in tasca un indimenticabile libro di Luciano Bianciardi, Il lavoro Culturale. Chissà cosa ne penserebbe lui, che fu tra i fondatori della Feltrinelli, di Red, delle alici di Cetara e dello “spazio esperienziale”.
Bonus: dal libro Roma di Fulvio Abbate (2007), alla voce “Via del Corso”: “E’ molto famosa perché ospita un McDonald’s”. Ecco, ora c’è anche Red.
Malus: grande affollamento a pranzo e tavoli decisamente ravvicinati
I voti di Puntarella Rossa
Cucina: 6,5; Ambiente: 6,5; Servizio: 7.
Red – via del Corso 506. Tel.: 063213676, 3460162804