Sulla barca "Ojala", intestata all'imprenditore Daccò, c'erano cabine assegnate. Accessibili solo al presidente della Regione Lombardia e all’amico-commercialista Alberto Perego. Quest'ultimo interveniva "persino nella scelta degli allestimenti e degli arredi delle imbarcazioni”, il governatore a bordo “era solito lavorare”
Sull’Ojala, quella a prua e quella a poppa erano cabine assegnate. Inviolabili. Accessibili solo ai legittimi proprietari: il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e l’amico-commercialista Alberto Perego. Cuccette extralusso “dove”, mette a verbale uno dei comandanti, “venivano custoditi i loro effetti personali imbarcati all’inizio della stagione e portati via nel mese di ottobre. Nessuno era autorizzato ad utilizzarle salvo in rarissimi casi”. Un fatto inconsueto, visto che il Ferretti 70 (maxi-yacht da oltre 20 metri) risulta di proprietà di una terza persona: Pierangelo Daccò, consulente nel campo della sanità, vicinissimo (da sempre) al governatore. Niente viaggi da semplici ospiti, dunque, ma un utilizzo “quasi esclusivo”. Tanto che è “opinione comune di tutti i testimoni” che la presenza dei due “a bordo non era quella di meri passeggeri occasionali, bensì quella tipica dei proprietari del bene stesso”. Il quadro, finora inedito, emerge dall’ultima informativa di polizia giudiziaria messa agli atti dell’inchiesta sugli 80 milioni di fondi neri usciti dalla Fondazione Maugeri e traghettati in un complicato risiko di conti esteri.
Ecco allora l’ultimo capitolo della storia che vede indagato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti lo stesso Formigoni. Solo ora, infatti, si comprende come i due membri dei Memores Domini (il cosiddetto “gruppo adulto” di Cl) tra il 2007 e il 2011 non solo abbiano navigato dalla Sardegna alla Costa Azzurra, ma abbiano anche utilizzato il personale di bordo per organizzare cene in ville sontuose. Insomma, quella era roba loro. Questo emerge sfogliando le oltre duecento pagine dell’annotazione. Una situazione nella quale Perego si trovava a meraviglia, “tanto da intervenire persino nella scelta degli allestimenti e degli arredi delle imbarcazioni”. E se uno si occupava dello scenografia, l’altro (il presidente) a bordo “era solito lavorare”. Lo racconta Mauro Montaldo, uno dei capitani degli yacht. Sentito dai magistrati, dichiara: “Ricordo che faceva frequenti telefonate di lavoro, inviava e riceveva email tramite il computer di bordo e rilasciava interviste telefoniche”.
Detto questo, chi pagava? Alla domanda risponde un altro dei capitani degli yacht, Silvio Passalacqua: “Il comandante faceva fronte a tutte le spese utilizzando la carta di credito delle società (intestate a Daccò, ndr). Mi si chiede se Perego o Formigoni abbiano mai pagato personalmente qualche spesa della barca e rispondo di non averli mai visti versare alcunché, neanche un centesimo”. Passalacqua, negli anni, ha condotto diverse imbarcazioni. Alla fine, è stato licenziato dallo stesso faccendiere della sanità. Motivo? “Daccò mi chiese di mettergli a disposizione due componenti dell’equipaggio perché doveva organizzare una festa sulla terraferma (…) alla quale partecipavano Formigoni e Perego. Io mi rifiutai”. Tutti fatti “accertati” e definiti “gravi”, se si tiene conto “che i benefit di Formigoni sono garantiti con somme provenienti da pagamenti illeciti e da fondi (…) sottratti alle casse delle fondazioni San Raffaele e Maugeri che a loro volta distraggono denaro proveniente dalla Regione”. Quanto? Tre milioni e settecentomila euro in quattro anni solo “per l’utilizzo delle tre imbarcazioni (Ojala, Cinghingaia, Ad Maiora) da parte di Formigoni e Perego”.
Giunti a questo punto, ecco la logica conclusione degli investigatori: “La ragionevole evidenza di uno stretto nesso causale e cronologico tra gli illeciti pagamenti erogati a favore di Daccò e Antonio Simone (ex assessore Dc amico da sempre del presidente lombardo), le utilità messe a disposizione di Formigoni (mediante beni di lusso e servizi), nonché la formazione ed emanazione di delibere di Regione Lombardia, va a completare un quadro che delinea l’esistenza di un gravissimo sistema illecito”. Conclusione: “L’esosità dei benefit giustificherebbe – per usare un eufemismo – l’entità elevatissima delle somme illecitamente percepite dagli Enti ospedalieri”. Questi i fatti. Ora a costruire l’ipotesi d’accusa finale dovranno pensare i magistrati.