La Spagna è nuda e il suo fiato sempre più corto risveglia il fantasma greco anche in Italia. Se anche non ha stupito i mercati, infatti, la dichiarazione senza mezzi termini rilasciata questa mattina dal ministro iberico del Bilancio, Cristobal Montoro, sulle casse vuote di Madrid che non ha più di che pagare i servizi pubblici e sul fatto che i salari dei dipendenti statali sono legati a doppio filo con le tasse a giustificazione dei tagli da lacrime e sangue che il Paese si appresta a subire sulla sua pelle, certamente non aiuta il governo Monti in queste settimane alla ricerca febbrile di uno scampolo per allungare una coperta che potrebbe rivelarsi troppo corta.
Da una parte, infatti, la memoria corre rapida a un anno fa, quando la Grecia schiacciata dalla morsa degli aiuti internazionali era solo all’inizio di un ciclo interminabile di drammatici tagli a un’esangue pubblica amministrazione. Dall’altra inevitabilmente riporta alla ribalta le fragilità piccole e grandi della Penisola, dove la situazione è complessa da gestire e, sul lungo come sul breve termine, potenzialmente esplosiva. Non solo per la mina sui conti pubblici costituita dagli interessi sul debito statale su cui grava l’incognita della speculazione agostana senza la protezione dello scudo anti-spread nelle more del via libera della Corte tedesca rimandato a settembre.
Su questo fronte, almeno, le ripercussioni a caldo sono state pressoché nulle, con gli interessi sul Btp decennale che in mattinata hanno proseguito la curva discendente e, pur rimanendo in area da allarme rosso, sono scesi dello 0,09% al 5,96%, aumentando la distanza dai Bonos spagnoli che, sotto il peso dell’asta obbligazionaria da 2,9 miliardi di euro, sono volati dello 0,06% al 6,93% portando il differenziale con gli omologhi titoli tedeschi, il temuto spread, a 570 punti, contro i 473 italiani. Le differenze sono quindi chiare anche agli squali della finanza.
Non sfugge, però, che il cosiddetto percorso di guerra italiano è costellato da ostacoli che, se non superati, potrebbero accorciare le distanze invece di allungarle. A partire dalla pressione fiscale denunciata da ultimo questa mattina da Confcommercio, secondo la quale il prelievo effettivo dalle tasche dei contribuenti quest’anno toccherà il 55%. Quindi in pratica gli stipendi da noi continuano ad arrivare, ma più della metà finisce direttamente nelle casse dello Stato. Che ancora devono fare i conti con nodi non da poco come la questione dei circa 350mila esodati. Non più tardi di ieri, infatti, la Ragioneria generale dello Stato ha messo nero su bianco: al momento non ci sono risorse per allargare oltre quota 120mila unità la platea dei lavoratori nel limbo tra gli ammortizzatori sociali e la pensione che saranno salvaguardati dal governo con uno stanziamento da circa 9 miliardi di euro. Sempre in tema di previdenza, poi, c’è la spinosa questione della super-Inps, cioè l’accorpamento nell’ente pensionistico di Enpals e Inpdap, su cui il ministro Fornero ha appena sollecitato la rapida definizione di uno specifico piano industriale con chiare indicazioni sul conseguimento degli obiettivi di risparmio.
Tenendo in considerazione, resta inteso, il buco di quasi 6 miliardi di euro destinato ad aprirsi nei conti dell’istituto delle pensioni a causa del deficit dell’Inpdap, il suo omologo per i dipendenti della pubblica amministrazione. Situazione che perfino il ministro del Lavoro non ha potuto non riconoscere nei giorni scorsi dichiarando, a fronte dell’allarme del Consiglio di indirizzo e sorveglianza sulla sostenibilità dell’intero sistema pensionistico pubblico, che “questo disavanzo è conosciuto dallo Stato e sarebbe stato coperto prima e sarà comunque coperto adesso”. Scena analoga sulla “grana” siciliana, su cui i pompieri sono entrati subito in azione con un assegno statale da 400 milioni “già programmati” e con la sostituzione progressiva della parola default con una più digeribile “temporanea mancanza di liquidità”. Non sia mai che a qualcuno venga in mente di chiedersi quante altre situazioni simili si annidino nella pubblica amministrazione che in Italia, secondo i dati Ocse del 2010, dà lavoro al 14,3% del totale con una spesa pari all’11% del Pil.