Il Regina Pacis è stato acquistato dalla famiglia Semeraro, fino a un mese fa proprietaria dell'U.s. Lecce. Diventerà un resort extralusso dopo anni di abbandono e, soprattutto, di inchieste giudiziarie culminate nelle condanne all'ex direttore don Cesare Lodeserto
Ruspe e picconate serviranno a demolirne i muri, ma difficilmente riusciranno a cancellarne la vergogna. Sarà abbattuto per essere ricostruito come Grand Hotel l’ex “lager di Stato”, il Regina Pacis di San Foca, vicino a Otranto, nel leccese. Dal 1998 al 2006 è stato il centro di permanenza temporanea più grande e più discusso d’Italia, finito nella bufera di molti scandali giudiziari per le violenze che lì si sarebbero compiute sulla pelle dei migranti ospitati. La Diocesi ha preferito venderlo, per un milione di euro.
Tanto costa cercare di cicatrizzare quella ferita. Ad acquistarlo si è presentato uno dei gruppi imprenditoriali più importanti del Sud, i Semeraro, fino a ieri ex banchieri e patron dell’Unione Sportiva Lecce, oggi finiti nel tritacarne del calcioscommesse per la presunta combine del derby Bari-Lecce del maggio 2011. Che il Cpt sia un immobile più che appetibile per un investimento finanziario notevole è nelle cose. Sorge sulle ceneri di una vecchia colonia per bambini poveri, costruita nel 1956 su una delle spiagge da sempre più gettonate della costa salentina, a pochi metri dal porto turistico di San Foca, prossimo ad ampliarsi fino a 800 posti barca.
La struttura è stata edificata direttamente sulla sabbia, a dieci passi dalla riva, all’inizio quasi totalmente abusiva, poi condonata. Tanto basta per farne uno degli ecomostri più brutti di Puglia, da sei anni in stato di totale abbandono e preda di vandali che ne hanno divelto gli impianti e distrutto gli arredi. In molti, in questi anni, anche attraverso una petizione, hanno sperato che quel casermone di cemento, tozzo e sgraziato, potesse essere demolito una volta per tutte, liberando la spiaggia. La Punta Perotti del Salento, però, sarà resort fronte mare. Anzi, quasi nel mare.
Avrà 214 posti letto, divisi tra cinquanta camere e piccoli nuclei ricettivi, oltre a ristorante, hall, sale, una piscina che ne cinge il perimetro, quasi fosse un fossato. Non solo, dovrà essere scavato anche il piano seminterrato, che oggi non c’è e che è pensato per fare spazio a servizi e parcheggi. “Ma per questo sarà necessario verificare la compatibilità geologica, visto che stiamo parlando di un posto che sorge a pochi metri dalla riva. E’ una delle prescrizioni già date dalla Commissione per il Paesaggio”, sottolineano dall’Ufficio Tecnico di Melendugno, il Comune nel cui territorio ricade il Regina Pacis.
Il progetto di riconversione ad albergo a cinque stelle è stato protocollato il 23 febbraio scorso da parte della società immobiliare Le Querce Srl, che fa capo a Rico Semeraro. Il sindaco Marco Potì si sfrega le mani: “Finalmente una riqualificazione, tanto non avremmo mai potuto chiedere ad un privato di abbattere e basta, senza investire. E poi noi riceveremo 250mila euro che saranno impiegati per rifare la piazza della marina”. Così è stata monetizzata, a titolo di ristoro, la rinuncia al vincolo di destinazione d’uso dell’immobile. I lavori dovrebbero partire già il prossimo anno, dopo il benestare che il consiglio comunale ha intenzione di dare alla variante al Piano regolatore generale, visto che la zona è tipizzata sì come area a finalità turistico-ricettiva, ma con scopo sociale, per poter ospitare un ostello della gioventù, che oggi dovrebbe dunque essere trasformato in hotel di lusso.
Una metamorfosi, insomma, che tenta di slegare il Regina Pacis dal nome a cui è legato a doppio nodo, quello di don Cesare Lodeserto, l’ex direttore del Cpt, a cui, giusto il 4 luglio scorso, la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la condanna a 5 anni e 4 mesi per calunnia, minaccia, istigazione per delinquere, sequestro di persona nei confronti di cinque ragazze migranti ed estorsione, perché avrebbe costretto alcune ospiti del Centro a lavorare in una fabbrica del posto. Accuse che nel marzo del 2005 gli costarono un paio di manette.
Su di lui pesano anche altre condanne. Quella a un anno e quattro mesi, giunta il 22 luglio 2005, per violenza privata e lesioni aggravate nei confronti di diciassette immigrati di origine maghrebina che tre anni prima avevano tentato la fuga dal Cpt. Quella del 2010 per truffa aggravata, per aver percepito 230mila euro destinati all’aiuto di donne scampate alla prostituzione, senza aver mai svolto le attività. Quella, ancora, del novembre scorso, a quattro anni di reclusione per peculato, “per aver sottratto, tra il 1998 e il 2000, oltre 2 miliardi di lire che erano destinati al centro di accoglienza”. Ciononostante, don Cesare ora è libero, dal 2007 missionario a Chisinau, capitale della Moldavia, dove per conto della Diocesi leccese dirige un’altra fondazione, che, ironia della sorte, porta lo stesso nome, Regina Pacis, quello che nel Salento si vuole insabbiare per far posto al Grand Hotel.