In questi giorni, in alcuni cinema estivi sparsi per l’Italia – di quelli che prediligono Gian Maria Volonté a Tom Cruise, o Gillo Pontecorvo ai Vanzina – stanno proiettando un film da non perdere. Una chicca per amanti della musica d’autore, e del cinema poco convenzionale. “Gainsbourg” di Joann Sfar, dal sottotitolo eloquente, “la vita eroica”.
E’ un lavoro realizzato nel 2010, e in Italia è raggiungibile solo attraverso un’attenta ricerca: si tratta di un film più simile ad un documentario, che ad un racconto, anche perché in 130 minuti il regista non svela tutta la vita di Serge Gainsbourg, ma entra solo nei dettagli di alcuni suoi passaggi più clamorosi. E’ necessario, per cui, conoscere – e amare – il cantautore francese, per apprezzare questo filmato, che consiglio vivamente. Gainsbourg è famoso in tutto il mondo per gioielli pop come “Bonnie & Clyde” o “Je t’aime…moi non plus”, e per le tormentate storie d’amore con le bellezze assolute di un tempo, da Jane Birkin a Brigitte Bardot. Lui è il ritratto del genio ribelle, del viveur dalla barba lunga che passa le notti a bere pastis 102 e la mattina a comporre capolavori indiscussi. Gainsbourg nel film è ritratto nella sua Parigi, il ragazzo ebreo al tempo dell’invasione nazista. Ci sono dettagli di casa sua (per me, meta di pellegrinaggio ogni volta che passo da quelle parti, così come il cimitero di Montparnasse dove è sepolto), in 5 bis rue de Verneuil . E ci sono retroscena sul mito trasversale, venerato da anziani e giovani, e pure da dj techno che hanno confezionato centinaia di versioni dance dei suoi brani più famosi.
Gainsbourg nasce a Parigi nel 1928, e muore nel 1991, eroso dall’alcol e dagli abusi. E’ un musicista, un compositore, un uomo disperato, un autolesionista, è libero da schemi di ogni sorta, è un artista maledetto, un grande seduttore. L’ho conosciuto quando un’estate di alcuni anni fa mi fermai distrattamente a guardare un video, che si trova facilmente su you tube. Una prima serata in un programma francese di fine anni 80, che poteva essere il nostro Fantastico del sabato sera: lui era l’ospite di punta, e arriva sul palco ubriaco fradicio. Il presentatore, che poteva essere il nostro Pippo Baudo, non sapeva come gestirlo: lui alternava sigarette Gitanes a Gouloises, rigorosamente senza filtro. E diceva tutto quello che gli passava per la testa. Poi, cantava. E quando cantava, incantava chiunque. Iniziai a seguirlo, a cercare i suoi cofanetti con tutto il suo repertorio, e iniziai a tradurre i testi delle sue canzoni.
Pensando al Novecento che se ne stava per andare via, mi sembrava di avere tra le mani i versi dei poeti maledetti, quei cantori che, come Baudelaire e Verlaine, hanno saputo radiografare il disagio e la trasformazione di una società malata e contraddittoria. Accostare le atmosfere dei “Fiori del male” baudelairiani a quelle del canzoniere di Serge (più di trecento canzoni tra edite e inedite) non mi sembra azzardato. Anzi, è ancora una volta una dimostrazione che le contraddizioni, il dolore e la ricerca dell’essere viaggiano sul filo della memoria. Nelle composizioni del cantautore francese i registri cambiano, anche se una patina di anidride solforosa le avvolge: la solitudine del “Poinçonneur des Lilas” (la mia preferita, tanto che l’ho tradotta pure come introduzione di un mio libro), l’amplesso della scandalosa “Je t’aime…moi non plus”, gli amori morti della “Chanson de Prevert”, la libertà attraverso la morte di “Bonnie et Clyde” o il legame tra padre e figlia di “Lemon incest” sono alcuni tasselli che completano l’opera vasta di artista che ha saputo esprimersi anche con la pittura e dietro la macchina da presa. Nel 78 in Jamaica compose, insieme a Peter Tosch, una versione reggae della Marsigliese, e fece nascere un putiferio colossale in Francia: per questo, nel suo paese, il suo personaggio è vivo più che mai, e divide ancora oggi l’opinione pubblica.
Gainsbourg, restando fuori dalla mischia, ha un canzoniere che con il tempo è diventato impeccabile osservatorio di un’epoca e del clima di una società: davanti alla quale lui si è sempre posto con il solito atteggiamento di strafottenza. “Sono un ladruncolo, un gran falsario, un depresso forsennato, fiero, maldestro e violento”, è l’epigrafe di trent’anni di splendida carriera.