Non aveva nemmeno trent’anni, quattro figli e su di sé portava le conseguenze di otto anni di botte, stupri e minacce. Era scappata di notte portando via i bambini dalla violenza e prendendo il primo treno per una piccola città dove viveva la cugina. Era incinta e quella gravidanza non aveva nessuna intenzione di portarla avanti. Venne ospitata nella Casa rifugio e una mattina l’accompagnai ad abortire restando con lei, prima e dopo l’intervento. Abortì assistita dal personale medico nel silenzio e nel rispetto, pienamente lucida nella sua scelta.

Erano altri tempi. Erano tempi in cui non era ancora cominciata l’offensiva contro la legge 194 che nel 1978 aveva posto fine, finalmente, all’aborto clandestino, agli aborti praticati dalle mammane o a pagamento in cliniche private, all’estero o in Italia. Non so oggi come sarebbe stato l’aborto di Anna, forse senza il rispetto e l’assistenza medica che le erano dovuti.

Assistenza che oggi è negata a molte donne che si rivolgono alle strutture ospedaliere per abortire e sono sottoposte ad una moderna inquisizione tra le ostilità del personale medico obiettore e umiliazioni: storie che sono state raccontate nel libro denuncia Abortire tra obiettori di Laura Fiore che ha anche raccolto l’esperienza di altre donne che hanno raccontato di assistenza professionale o farmacologica negate anche per ore, con dolorosi travagli protratti inutilmente per aspettare il ginecologo non obiettore che praticasse l’aborto.

Tutto questo avviene in strutture ospedaliere dove qualunque donna dovrebbe sentirsi tutelata, rispettata e protetta, soprattutto dai medici a cui pensa di potersi affidare.

Nonostante la Corte Costituzionale il 20 giugno scorso sia tornata a pronunciarsi sulla costituzionalità della 194 e abbia motivato che spetta solo alla donna la decisione di abortire, le iniziative per distorcere le procedure della legge proseguono anche nei consultori. Dopo Lazio e Piemonte anche il Veneto tenta di far approvare una legge per far entrare i movimenti pro life nei consultori e nelle strutture dove si pratica l’aborto.

Ieri mattina davanti al Consiglio regionale veneto le donne hanno organizzato un sit in di protesta contro il tentativo contro il tentativo di far approvare la proposta di iniziativa popolare per “Regolamentare le iniziative mirate ad informare su alternative all’aborto”; se verrà approvata, i volontari dei Movimenti antiabortisti entreranno nei consultori, nei reparti di ginecologia ed ostetricia, nelle sale d’ aspetto e negli atri degli ospedali. Ma entreranno anche nella vita privata delle donne. E in che modo?

Nel testo della legge è scomparsa la parola donna sostituita con quella di madre e la parola bambino ha sostituito la parola feto, ma qui si tratta di una legge che si rivolge a donne che intendono interrompere una gravidanza. Nella redazione del testo emerge una decisione già presa a dispetto della scelta delle donne.

La legge prevede che “i volontari prevedano forme di aiuto in sintonia con i dettami della legge stessa che prevede ogni tentativo di dissuasione alla pratica d’interruzione volontaria della gravidanza. Ma la 194 non prevede la formula “ogni tentativo di dissuasione”.

Nella manifestazione dei movimenti antiabortisti che si è svolta nel mese di maggio, a Roma, sono stati scanditi slogan da crociata contro le “donne assassine” e sono stati portati in processione dei feti di plastica incollati a delle croci: la moderna inquisizione continua senza che la politica si occupi adeguatamente del problema dell’obiezione di coscienza che vanifica una legge dello Stato e lascia le donne ma anche i ginecologi non obiettori, ostaggio di ideologie portate avanti anche con cieco fanatismo. Torneremo a parlarne perché la violenza sulle donne ha mille facce.

di Nadia Somma

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