La liberazione di Rossella Urru, dei due cooperanti spagnoli e di tre dei sette ostaggi algerini – rapiti a Gao lo scorso 5 aprile – apre uno spiraglio di cambiamento nella drammatica situazione del Nord del Mali? E’ il segnale di una disponibilità alla trattativa da parte dei fondamentalisti del Mujao (Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale) che insieme a Ansar Dine (difensori della fede) hanno da mesi occupato l’Azawad imponendo con determinazione e ferocia la legge islamica?
Da mesi, le tre regioni del Nord del Mali – i due terzi del territorio nazionale – sono in mano ai due gruppi islamici vicini ad Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb Islamico). Hanno cacciato da Gao, Timbuctu e Kidal i tuareg del Mnla, inizialmente loro alleati nella guerra contro l’esercito maliano. Dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Azawad, il 6 aprile scorso, i separatisti tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad sono stati di fatto estromessi dal governo delle tre città.
Mentre il Nord precipita nel buio oscurantista di Aqmi e affini, la capitale Bamako vive in un clima di vuoto istituzionale: il presidente di transizione Dioncounda Traoré si trova da due mesi in Francia, dopo essere stato vittima di un’aggressione, e il governo di coalizione nazionale stenta a decollare.
I paesi della Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) hanno chiesto che un governo di unità nazionale venga instaurato al più presto in Mali, entro il 31 luglio, altrimenti scatteranno le sanzioni economiche. E da mesi parlano di un intervento militare per riconquistare il Nord. Le potenze occidentali tergiversano, le Nazioni Unite hanno approvato una sanzione contro i ribelli che si alleano ad Aqmi.
Intanto gli abitanti dell’Azawad vivono con grandissima sofferenza l’imposizione della sharia e il radicale cambiamento delle loro vite. Chi ha potuto è fuggito: sono 380 mila i rifugiati nel Sud del paese e oltre frontiera in Niger, Mauritania, Burkina (per impedire ulteriori fughe i fondamentalisti hanno minato la periferia di Gao).
La precarietà delle loro vite è aggravata dall’incubo siccità che, ciclicamente, colpisce le zone subsahariane: 18,7 milioni di abitanti del Sahel, di cui quattro milioni in Mali, sono a rischio d’insicurezza alimentare.
L’attenzione dei media internazionali si è soffermata soprattutto sulla distruzione, da parte dei salafisti di Ansar Dine, dei mausolei di Timbuctu, la città dei 333 santi. Delle sedici tombe, la metà è stata colpita dai picconi degli integralisti, sotto gli occhi increduli dei cittadini, impotenti a difendere il patrimonio della “perla del deserto”, le sue moschee, i 30 mila manoscritti.
Un paese di antichissima civiltà e cultura sta andando alla deriva, un’altra tragedia si sta consumando lontana dalla luce dei riflettori. A chi ama il Mali, l’immensità dei suoi deserti, l’allegria dei suoi villaggi, la bellezza e l’intensità della sua musica, tutto questo fa molto male.
(Foto AP-LaPresse)