Scienza

Autismo, il robot donna che si “emoziona” curerà i bambini malati

Si tratta di un androide le cui fattezze sono ispirate al volto della moglie di uno dei ricercatori del centro "Piaggio" di Pisa, che hanno collaborato con uno studioso americano e si chiama Face (Facial Automaton for Conveying Emotions). La notizia è stata pubblicata dal quotidiano "Il Tirreno"

A Pisa nasce un robot con sembianze femminili capace di riprodurre le espressioni facciali in base alle emozioni provate. Si tratta di un androide le cui fattezze sono ispirate al volto della moglie di uno dei ricercatori del centro “Piaggio”, che hanno collaborato con uno studioso americano e si chiama Face (Facial Automaton for Conveying Emotions). La notizia è stata pubblicata stamani dal quotidiano “Il Tirreno”. Lo studio è partito da una serie di domande: ora che sono realizzabili robot umanoidi con capacità sociali, quali relazioni si potranno instaurare con loro? Siamo in grado di percepire le emozioni che questi cercano di trasferirci? Le accettiamo? E la prima applicazione di questo robot emotivo è stato un esperimento in collaborazione con la fondazione “Stella Maris” condotto con bambini autistici chiamati a interpretare le espressioni facciali del robot sotto la guida di un terapista.

“I bambini vengono invitati a riconoscere le emozioni espresse dal volto della loro interlocutrice robotica, per poi imitarle – spiega il ricercatore Daniele Mazzei – e con i dati che abbiamo raccolto stiamo studiando le reazioni esplicite e non dei soggetti durante l’interazione con il robot. In questo modo sarà possibile fornire ai terapisti gli input necessari alla definizione del protocollo riabilitativo basato su imitazione e reciprocità sociale ed emotiva”. Per simulare le emozioni, il team di studiosi pisani ha inventato un motore di animazione facciale che riesce a riprodurre movimenti, mimiche e smorfie caratteristici di diversi stati d’animo (paura, disgusto o stupore). “Il robot – aggiunge Mazzei – è molto funzionale a questo tipo di terapia perché permette di riprodurre in modo ripetitivo e stereotipato espressioni facciali senza rompere il connubio che c’è fra terapista e bambino. Data la natura artificiale del sistema, la comunicazione risulta nettamente semplificata e ridotta rispetto a quella umana e il paziente può concentrarsi su un numero limitato e facilmente riproducibile di espressioni emotive”.