Aurora come Columbine (sparatoria alla High School, 13 morti), come Brookfield (attacco nella hall di un hotel, 7 morti), come Virginia Tech (il massacro più grave della storia americana, 32 morti), come Fort Hood (11 uccisi in una base militare). Aurora come le decine di città e villaggi d’America teatro in questi anni di stragi provocate dalla follia violenta e casuale di singoli quasi sempre incensurati: studenti, medici, religiosi. Mentre sono in corso le indagini su responsabili e moventi del massacro in un cinema alla periferia di Denver, è probabile che i 12 morti di Aurora riaprano il dibattito senza fine, e senza veri risultati, sulle armi in America.
Il Colorado, lo Stato del sud-ovest dove si è svolta quest’ultima sparatoria, ha una legislazione particolarmente favorevole all’acquisto e al porto d’armi. Chi vuole acquistare un revolver o un fucile non deve chiedere alcun tipo di permesso statale. Non è richiesta neppure la registrazione al momento dell’acquisto. E’ consentito portare un’arma nascosta, previa licenza, ed è permesso anche girare con una pistola o un fucile ben esibito (tranne che a Denver, la capitale e la città più popolosa dello Stato, dove esistono alcune limitazioni al porto d’armi).
Una delle vittorie più eclatanti per il movimento pro-armi del Colorado, e di tutti gli Stati Uniti, è venuto lo scorso maggio, quando la Corte Suprema dello Stato ha stabilito che la University of Colorado non ha il diritto di vietare di portare un’arma nascosta a studenti, professori, impiegati, all’interno del campus. L’amministrazione dell’università aveva bandito pistole e fucili nel lontano 1970, e in questi anni era stata inflessibile nell’applicare il bando. I giudici della Corte hanno invece deciso altrimenti. I reggenti dell’università, così come ogni altra amministrazione locale, non può andare contro la legge dello Stato e imporre divieti a girare armati.
Decenni di violenze e omicidi di massa non sono del resto davvero riusciti a incrinare l’amore di molti americani per le loro armi. Un rapporto del Congressional Research Service rivela che nel 2007 c’erano, negli Stati Uniti, 294 milioni di armi. Erano 192 milioni nel 1994. Lo stesso rapporto mostra che il numero di famiglie con un fucile o un revolver in casa è andato progressivamente calando a partire dal 1973. Il dato viene spiegato con la diffusione di una maggiore consapevolezza circa i rischi insiti nel possesso di un’arma, e nello spostamento di sempre più americani dalle campagne alle città (i maggiori centri urbani Usa hanno in genere gun laws più severe).
L’aumento vertiginoso nelle vendite – parallelo alla diminuzione delle famiglie con un’arma in casa – indica dunque che chi negli Stati Uniti già possiede una pistola o un fucile è portato a comprarne altri. Il diritto di dotarsi di un’arma da fuoco è del resto protetto dal Secondo Emendamento e considerato da molti negli Stati Uniti come una questione di libertà civili (ciò che in Europa si fa molta fatica a comprendere). Possedere un’arma – per autodifesa, per la caccia, per la protezione dei propri beni – diventa quindi un diritto inalienabile del cittadino, che nessun Congresso o magistrato può sottrarre, e che nessun omicidio o violenza può inficiare (vedi la difficoltà a imporre limitazioni al porto d’armi persino dopo episodi clamorosi come l’attacco all’ex-deputata Gabrielle Giffords in Arizona o l’uccisione del 17enne Trayvon Martin in Florida).
A parte la storia e la coscienza collettiva di una Nazione “nata dalla violenza” (come Charlton Heston, l’attore e allora presidente della National Rifle Association spiega a Michael Moore in Bowling a Columbine), la difficoltà nell’imporre leggi limitanti il diritto alle armi nasce anche e soprattutto dalla forza economica e politica della stessa Nra, che con i suoi 4 milioni di membri rivendica il ruolo di gruppo a difesa dei diritti civili, ma che in realtà appare come il referente politico (insieme al suo associato Institute for Legislative Action) dell’industria delle armi americane. Sturm, Ruger & Co., uno dei maggiori produttori di armi da fuoco, dona un dollaro alla Nra per ogni arma venduta, e lo scorso anno ha trasferito 1,2 milioni di dollari all’Institute for Legislative Action.
La forza economica e l’attività di lobbying si sono tradotti in questi decenni in una straordinaria capacità di influenzare la politica. Dei 24 deputati e senatori inseriti sulla lista nera della Nra nel 1994, ben 19 sono usciti per sempre dalla vita politica. L’organizzazione si dimostra generosa con quei politici che dichiarano il proprio incondizionato sostegno al Secondo Emendamento (oltre ad avere avuto tra i suoi membri diversi presidenti degli Stati Uniti: Eisenhower, Kennedy, Nixon, Reagan e Bush padre). All’ultimo congresso a St. Louis, lo scorso aprile, il direttivo della Nra ha proclamato di voler fare di tutto per battere Barack Obama. Non che il presidente democratico si sia rivelato un nemico particolarmente tenace della lobby. Gli unici atti di Obama in materia sono stati il via libera al porto d’armi nei parchi nazionali e sui treni. Ma, come ha spiegato Wayne La Pierre, vice-presidente della Nra, la relativa calma del primo mandato potrebbe nascondere “piani combattivi contro le armi” in un eventuale secondo mandato Obama.