Le grandi opere non hanno avvenire. Ciò vale in particolare per le linee ferroviarie ad alta velocità. Dopo il Portogallo e la Spagna, anche la Francia di Hollande ci ripensa. Inutilmente i patetici galoppini di un progetto nato bollito, che porterebbe solo disagi e disastri ambientali senza alcuna utilità effettiva, come il Tav, stanno tentando di sminuire l’importanza della presa di posizione del governo francese.
Vediamo quindi anzitutto di che si tratta. Il governo francese, che sta attuando una spending review non necessariamente ispirata alla macellazione della società, ha deciso di rivedere le sue priorità, ivi compresi i progetti di alta velocità. Secondo la dichiarazione del ministro dei trasporti Bernard Cuvilier, ciò comporta la necessità di rivedere gli accordi internazionali relativi al Tav.
Ciò mi sembra puro buon senso. Infatti, come dovrebbe essere noto anche ai non addetti ai lavori, i trattati internazionali sono suscettibili di modifica e anche di estinzione se cambiano le circostanze che a suo tempo ne consigliarono la stipulazione.
Fra tali circostanze possono indubbiamente essere invocate le maggiori ristrettezze di bilancio e la necessità di riformulare le priorità di spesa, ma anche quella di tener conto della volontà delle popolazioni interessate. Da tale secondo punto di vista giova rilevare la crescente opposizione al Tav anche in Francia, ma anche la particolare connessione della questione con tre dei principi fondativi dell’Unione europea e precisamente quello democratico, quello di sussidiarietà, che impone che le decisioni siano prese al livello più vicino possibile ai cittadini e quello di salvaguardia ambientale.
E’ proprio su principi come questi che occorre far leva nel momento in cui l’Unione europea è a rischio di autoannientamento per effetto delle sue tendenze neoliberiste e della sua soggezione ai “mercati” e alla finanza. Tale riflessione contribuisce a chiarire la grande portata di una lotta contro il TAV, progetto per molti versi simbolico di un’Europa ispirata agli interessi del grande capitale che va rottamata al più presto, per dare spazio alla grande Europa che ci serve davvero, quella dei cittadini e delle autonomie, della democrazia e dell’ambiente.
Il problema della democrazia in particolare assume in questa fase portata decisiva, come rilevato da Franco Russo e dagli altri firmatari dell’appello “Una rottura democratica per l’Europa“, che denuncia la deriva tecnocratica e verticistica dell’Unione europea affermando fra l’altro che “si sta realizzando un sistema monetario, fiscale e bancario in funzione di un’economia di mercato che deve essere altamente competitiva sulla scena del capitalismo globalizzato. E se ne affida la direzione ad una struttura tecnocratica del tutto priva di un mandato popolare e sottratta a ogni forma di controllo, anche delle istituzioni rappresentative.
Per contrastare questa deriva, prosegue l’appello, “è necessaria una rottura democratica. Rottura democratica che si basa sulla contestazione della tecnocrazia e delle sue imposizioni, a partire dal Fiscal Compact, e sull’attivizzazione di un processo Costituente Democratico di un’altra Europa. Questo processo si realizza attraverso la costruzione storica del demos che, come afferma Etienne Balibar, è necessariamente un demos sociale aperto e non etnico e che, dunque, si nutre di una democrazia innervata di diritti sociali e di libertà delle persone”.
La lotta contro il TAV e analoghi progetti calati dalla tecnocrazia europea antidemocratica sulla testa delle persone e delle comunità, costituisce quindi un’occasione importante per rilanciare un’altra idea di Europa. L’unica che attualmente possieda un senso compiuto e che garantisca un futuro a quello che fino a poco tempo fa sembrava un esperimento importante e che sta oggi naufragando miseramente sotto i colpi della globalizzazione finanziaria e del potere oligarchico dei “mercati”.
Una mobilitazione popolare su entrambi i lati di una frontiera che dovrebbe essere ormai obsoleta ma che rischia di tornare in auge ben presto, contro un progetto inutile, costoso, dannoso e pericoloso concepito al di fuori di ogni controllo democratico nelle segrete stanze dei tecnocrati europei e che finirebbere per beneficare solo le solite cricche, costituisce quindi oggi a un tempo la soluzione per la salvaguardia ambientale e della democrazia e quella dell’Europa. Un referendum europeo contro il Tav come quello proposto a suo tempo dal Movimento 5 stelle contro il nucleare, ma che tenga conto innanzitutto della volontà delle popolazioni direttamente coinvolte, su entrambi i versanti delle Alpi.