Intervista al leader dell'Italia dei Valori che torna sul capo dello Stato, il conflitto di attribuzione contro la procura di Palermo e le sue parole sulla trattativa: "C'è una confessione di reato politico". E sulla fine dell'alleanza con il partito democratico: "I dirigenti del Pd sono ipocriti"
Onorevole Di Pietro, non le pare di aver esagerato accusando di “tradimento” il presidente della Repubblica?
Se fossi ancora pubblico ministero farei una requisitoria chiedendo la condanna politica del presidente della Repubblica sulla base di una prova documentale, la prova principe. Da parte di Giorgio Napolitano c’è una confessione extragiudiziale di reato politico.
Addirittura?
Prima solleva il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, perché le intercettazioni indirette delle sue conversazioni con Nicola Mancino comporterebbero una “lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica”. Poi, in occasione del ventennale della strage di via D’Amelio, manda un messaggio ai familiari delle vittime in cui dichiara solennemente che “non c’è alcuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità”. Delle due l’una. E poi che manchi una norma che regoli le intercettazioni indirette del Capo dello Stato è all’ordine del giorno fin dal 1997, quando il ministro della Giustizia Flick sollevò la questione per un caso analogo che riguardava l’allora presidente Scalfaro. Napolitano ha avuto sette anni di tempo per sollecitare il Parlamento a intervenire. Non solo, poteva sollevare conflitto d’attribuzione contro la Procura di Perugia che, a quanto pare, lo ha indirettamente intercettato al telefono con Bertolaso. Non lo ha fatto, salvo cambiare idea con Palermo. A questo punto siamo autorizzati a sospettare che quelle intercettazioni, che fanno così paura, contengano giudizi pesanti sui pubblici ministeri di Palermo. In un paese normale, se non fosse Re Giorgio, ci sarebbe stata, non dico una rivolta popolare, ma almeno una rivolta del mondo dell’informazione. E invece sono tutti, o quasi, appecoronati e conniventi con il sistema di potere che sostiene la grande coalizione del governo Monti.
Quindi anche il Pd. La rottura è definitiva?
Che siamo fuori ce lo dicono tutti i giorni in Parlamento. E ce lo dicono privatamente…
Chi?
Ma un po’ tutti. Ieri (giovedì, ndr) Enrico Letta, oggi Anna Finocchiaro. E poi Franceschini, Fioroni più una lunga serie di seconde linee.
Bersani no?
Lui sa che, all’ultimo giorno, Casini tradirà. Bersani sa perfettamente che si vince solo con una coalizione di centrosinistra, ma questi devono capire che noi non siamo yesmen del Pd. Sono degli ipocriti.
Prego?
Ipocriti. Predicano bene e razzolano male, esattamente come il presidente della Repubblica e la ragion di Stato. Sulle politiche del lavoro, sulla spending review, sulla giustizia sociale, su tutto ciò che fa il governo Monti sono sempre contrari a parole, ma in Parlamento votano tutto. Fino a quando la fa Berlusconi, che da sempre cura solo i suoi interessi, non c’è nulla di strano. Ma se lo fa un partito che dice di essere dalla parte dei lavoratori c’è qualcosa che non va. Con un partito che gioca al ribasso in maniera ipocrita e truffaldina non vogliamo avere nulla a che fare. Loro non ci vogliono più, ma siamo noi che ce ne andiamo.
Bene, allora vi siete tolti un peso tutti e due…
Sì, ma loro hanno un problema in più. Sanno di poter vincere solo con noi, ma devono rispondere a un sistema di potere che non tollera critiche all’asse Monti-Napolitano. Ci stanno provando con la legge elettorale e lo ammettono candidamente. Mi hanno detto che faranno di tutto per escogitare un sistema che faccia fuori Idv e Movimento 5 Stelle, ma tutte le volte che si studiano uno sbarramento si accorgono che siamo sempre una spanna sopra le forze intermedie con cui vorrebbero sostituirci. Non sanno come liberarsi di noi.
Va bene ancora, ma voi senza il Pd dove andate?
Io denuncio l’ipocrisia della classe dirigente di quel partito, non certo il suo elettorato. Siamo sicuri che si senta completamente rappresentato da questa classe dirigente? Mai come in questo momento è importante avere il coraggio delle proprie azioni. Nel ventennale della strage di via D’Amelio tutti si sono sperticati nel chiedere che si conosca la verità. Ma allora perché non la cerchiamo davvero? Questo è un paese dove Antonio Ingroia, a vent’anni dalla morte di Paolo Borsellino, il suo maestro che oggi si celebra, deve lasciare Palermo per andare in Guatemala.
Addio Pd allora. E Vendola?
Con Vendola ho parlato più volte e conveniamo su molte cose. Mi auguro che abbia la forza e il coraggio di andare fino in fondo per proporre agli elettori una vera coalizione di centrosinistra. Con o senza il Pd.
da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2012