Taranto, la città dei due mari. E delle verità parallele. Quindi inconciliabili per definizione: salvaguardia del lavoro e tutela ambientale qui non possono coniugarsi. Succede perché per anni chi ha gestito l’occupazione non ha guardato in faccia all’inquinamento e alla morte che ha causato. In nome del profitto, che ora è privato, ma fino al ’95 era di Stato. E così oggi il capoluogo ionico si trova a essere la città più inquinata d’Europa. “Per colpa dell’ Ilva a Taranto si muore” dicono i pm, che nelle prossime ore potrebbero vedere accettata la loro richiesta di sequestro dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico più importante d’Italia.
Il dato è quello della perizia epidemiologica richiesta dal gip Patrizio Todisco: 91 morti all’anno dal 2004 al 2010 solo nel quartiere Tamburi, quello vicino all’impianto che dà lavoro a 15mila persone. Di queste, quasi 5mila rischiano il posto: dipenderà da cosa deciderà il giudice. Sullo sfondo, una popolazione divisa. Da una parte gli ambientalisti, che sperano nella chiusura della fabbrica del Gruppo Riva; dall’altra chi in quella fabbrica ci lavora e vede nel fermo dell’acciaio la fine di tutto. E la disoccupazione. Nel mezzo le istituzioni, locali e nazionali, che devono fare sintesi tra le due esigenze imprescindibili, tenendo d’occhio l’interesse economico italiano. “Perché fermare l’Ilva significherebbe infliggere una ferita mortale alla siderurgia nazionale” sostiene la politica, con i francesi che guardano con interesse a questa ipotesi. Senza l’acciaio made in Italy, del resto, quello d’Oltralpe diventerebbe un monopolio. Tradotto: quadro nefasto da evitare, specie in tempi di recessione. E così la questione Ilva diventa un gioco di equilibrismo difficile, che ieri ha ricevuto una spinta non di poco conto. “Garantiremo lavoro e salute”, ha assicurato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini durante il vertice ‘ad Ilvam’ tenutosi a Palazzo Chigi. Come conciliare l’inconciliabile? Con un accordo quadro tra azienda, parti sociali e istituzioni dello Stato, da ratificare entro la prossima settimana. “Lavoremo perché questo accordo venga condiviso da Ilva in maniera tale che gli obiettivi di risanamento del territorio facciamo parte della strategia industriale di questo grande gruppo” ha detto Clini.
Qualcosa si muove. Lo dicono i tempi di avvicinamento alla decisione del gip. Due settimane fa si sono dimessi i vertici dell’Ilva, ieri c’è stato il vertice romano: due messaggi dal peso specifico importante e con tutta probabilità rivolti a chi dovrà decidere sul futuro prossimo della fabbrica. E quindi della città. Che viene da decenni difficili. E non solo per l’inquinamento. Taranto, infatti, è stato il primo comune italiano a dichiarare bancarotta dopo la disastrosa era del sindaco Di Bello. Il suo successore, Ippazio Stefàno, è riuscito a risanare le casse comunali, ma ha dovuto fare i conti con altre sventure. Come l’inquinamento del mar Piccolo, che ha mandato al macero il bene ittico per eccellenza del capoluogo: le cozze. Livelli di diossina fuori norma: vietata la vendita e centinaia di famiglie sul lastrico. Poche settimane fa l’ennesima sciagura, seppur nazional-popolare. Il Taranto calcio è fallito e così uno dei pubblici più caldi d’Italia dovrà ripartire dalle serie regionali. Non senza beffa peraltro, visto che due giorni prima della mancata iscrizione alla Prima divisione di Lega Pro, una tv locale aveva annunciato il ripescaggio in Serie B. Migliaia di persone in strada a festeggiare. Ma era una bufala. E l’euforia ha lasciato spazio alla disperazione. Un baratro sportivo che per molti rappresenta la metafora della quotidianità tarantina, nodo strategico per il commercio e l’industria, ma al contempo inferno ambientale. E per molti politico, visto che Stefàno, dopo la sua rielezione alle ultime amministrative, fino a ieri non era riuscito a presentare una giunta degna di tal nome. “Ma non è colpa mia – ha detto il sindaco al Fatto Quotidiano – visto che la Procura ha chiesto il riconteggio dei voti e la proclamazione del consiglio comunale è avvenuta solo venti giorni fa”. E comunque la squadra di governo sarà presentata solo oggi. “Non è vero – ha ribattuto Stefàno – perché dieci giorni fa ho nominato i primi quattro assessori e in questi giorni altri due, entrambi provenienti dalla società civile”. Ne mancano ancora tre, ma secondo il primo cittadino il ritardo dipenderebbe dalle beghe interne dei partiti, che ancora non sono riusciti a trovare un accordo. I tempi lunghi della politica. Che stavolta non coincidono con quelli della giustizia, che nelle prossime ore deciderà su cosa sarà Taranto in futuro cercando di non dimenticare il passato e l’inquinamento privato ma anche di Stato. Che oggi propone nuove norme e assicura bonifiche per 300 milioni al fine di ripartire. Chissà se basteranno.
Il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2012
(Foto La Presse)