Il senso della crisi è nell’agenda di Mario Monti: il primo di agosto vola in Finlandia a trattare con l’inflessibile governo di Jyrki Katainen, il giorno dopo si trasferisce a Madrid per discutere con Mariano Rajoy. Perché, se mai c’è stato un momento in cui servirebbe il meccanismo anti-spread proposto a Bruxelles da Italia e Spagna è questo: ieri lo spread spagnolo tra i titoli di Stato a 10 anni e gli omologhi tedeschi è arrivato a 600 punti (cioè il 6 per cento in più), quello dell’Italia è andato a rimorchio, a 500. Era da gennaio che non si vedeva un numero simile. Ieri la Spagna ha avuto i primi 30 dei 100 miliardi europei per ricapitalizzare le sue banche, ma presto serviranno soldi anche allo Stato. La Borsa spagnola è precipitata quando la Comunità Valenzana ha dichiarato un sostanziale default. Se la Spagna non ha i soldi per le banche, non li ha neppure per le sue Regioni insolventi.
“Il contagio è in corso, e non da oggi”, ammette Mario Monti dopo una lunga lista di precisazioni sullo stato di salute dell’Italia e sui giornali che non riconoscono al governo i suoi meriti. Molto piccato il premier precisa: “Nel novembre del 2011 lo spread tra Italia e Germania era a 574. Undici mesi prima era a 160. Oggi siamo a 490. C’è una riduzione, che è certamente deludente, perché me la sarei aspettata molto più rilevante, di 84 punti”. Mentre parla lo spread però sale ancora a 500.
La sicurezza ostentata dal premier si scontra con la cronaca finanziaria. La situazione spagnola sta degenerando, l’intervento sulle banche non ha rassicurato la Borsa e gli investitori non sono convinti che il circolo perverso tra debiti privati e pubblici si sia spezzato. Se il costo di titoli di Stato spagnoli continua a crescere, ormai ha superato abbondantemente il 7 per cento, l’effetto valanga finirà per travolgere in fretta le finanze spagnole. Il governo ha annunciato una manovra di risanamento da 65 miliardi ma non è affatto scontato che riesca ad approvarla con il Paese in rivolta.
La situazione pare fuori controllo. Ma il governo italiano prova a resistere al panico: Monti aveva messo in conto che la giornata di ieri sarebbe stata vivace, dopo le dichiarazioni del ministro del Bilancio spagnolo Cristobal Montoro (“non avevamo più un soldo in cassa, senza la Bce saremmo falliti”, parlava del 2011 ma molto hanno equivocato). A Palazzo Chigi sanno che il problema dell’Italia è una crisi di fiducia, quindi bisogna evitare di dare l’impressione di annaspare, o i mercati penseranno di aver avuto ragione a scommettere al ribasso. É una strategia rischiosa, ma non ci sono molte alternative, finché la Banca centrale europea di Mario Draghi resta immobile. “Certo, se la Bce nel pieno rispetto della sua autonomia decidesse di intervenire tutti ne saremmo contenti”, ammette un ministro. Ma per ora da Francoforte non arriva alcun segnale, Draghi si è già esposto molto fornendo oltre 1.000 miliardi di liquidità alle banche e senza il via libera politico dei tedeschi difficilmente tenterà altre forzature, come l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario (quello del debito già in mano ai privati) sperimentato l’estate scorsa.
A Monti restano solo due cose da fare: convincere i partner europei più scettici sulla necessità di difendere l’Italia e dimostrare che siamo davvero così virtuosi come ci presentiamo. A questo serve l’incontro di Helsinki: il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero gira da mesi tra le Capitali per spiegare come è cambiata l’Italia, ad agosto con il Parlamento fermo si può muovere anche Monti. Se almeno con la Germania di Angela Merkel si può trattare, con i finlandesi non c’è margine. Il governo di Helsinki voleva il Parte-none in garanzia prima di dare gli aiuti ad Atene. E all’Italia suggeriva, come alternativa al meccanismo anti-spread, di mettere i gioielli del Paese (perché no, anche il Colosseo) in un fondo che poi emetteva titoli di debito. Nel vertice di fine giugno i finlandesi hanno abbozzato, soltanto perché la Germania, capofila dei rigoristi, ha scelto di non sfasciare tutto. Ma dal giorno dopo hanno promesso una guerra di trincea, che stanno facendo.
Pochi giorni fa hanno ottenuto dalla Spagna un accordo bilaterale, cioè a due, senza coinvolgere il resto d’Europa: in cambio della sua tranche di prestiti alle banche iberiche (1,9 miliardi), Helsinki ha avuto garanzie per 770 milioni di euro. Così, se le cose andassero male e la Spagna finisse in default, i finlandesi recupererebbero almeno il 40 per cento della somma. La stessa diffidenza la dimostrano verso l’Italia che, per ora, non ha intenzione di chiedere aiuto, ma la cui indipendenza è tanto più credibile quanto più solidi sono gli eventuali strumenti di salvataggio. L’Esm, il meccanismo europeo di stabilità da 500 miliardi, è rimandato a ottobre, dopo che la corte costituzionale tedesca avrà dato il suo benestare. Resta il vecchio Efsf, fondo provvisorio fatto di garanzie teoriche e non di capitale versato, che, dopo i 100 miliardi promessi alla Spagna, ha solo 148 miliardi per un eventuale salvataggio italiano. Poca roba, ma meglio di niente. Per questo Monti deve assicurarsi che in caso di emergenza gli aiuti arrivino alle sue condizioni, cioè con un memorandum leggero , senza l’invasione della troika Ue-Bce-Fmi che ci ridurrebbe come la Grecia. Per trattare da una posizione non umiliante bisogna avere i conti in ordine. Anche a prezzo di anticipare ad agosto il taglio delle agevolazioni fiscali (cioè un aumento delle tasse) che serve a evitare l’aumento del’Iva nella seconda metà del 2013. Monti spera di non dover intervenire. Magari le cose migliorano da sole.
Il Fatto Quotidiano, 21 Luglio 2012