Quando la Consob interviene a metà seduta annunciando il blocco settimanale alle vendite allo scoperto il panico è ormai conclamato. Con Piazza Affari ai minimi storici e Madrid in profondo rosso, la sensazione di assedio si concretizza già in mattinata senza timori di smentita. L’euro precipita nel cambio con il dollaro (ai minimi dal 2010) e con lo yen (mai così forte rispetto alla moneta unica da oltre 11 anni) e le borse si ritrovano sotto attacco speculativo. Era già successo la scorsa estate, era accaduto una seconda volta tra ottobre e novembre. Oggi, a meno di un mese dal famoso vertice “risolutore” di fine giugno, l’effetto valanga si è materializzato ancora una volta. E il futuro non promette nulla di buono.

Alla chiusura delle contrattazioni Milano cede il 2,76% con lo spread tra il decennale italiano e l’equivalente tedesco che si impenna oltre quota 500 mentre il divario tra bonos e bund tocca ormai i 630 punti anche se su questi dati pesa il tracollo degli interessi sui titoli di Berlino che viaggiano ormai poco sopra l’1,1% (contro l’1,5 che si registrava appena un mese fa). La borsa di Madrid chiude a -1,1%. Parigi, Londra e Francoforte evidenziano tutte il segno negativo. Emblematicamente maglia nera Atene che a fine giornata brucia 7 punti percentuali. Un lunedì da dimenticare, dunque, un ribasso in piena regola. Sul quale incidono diversi fattori.

Spagna e Italia  A pesare, in primo luogo, sono le pessime notizie provenienti dalla Spagna che, di riflesso, coinvolgono anche l’Italia nell’ormai evidente spirale del contagio. Un dato in particolare fotografa in modo impressionante i guai di Madrid: i titoli di Stato a scadenza biennale emessi dalla nazione iberica viaggiano a quota 6,7%, molto vicini dunque ai livelli dei decennali che sono ormai oltre quella famigerata quota 7 che è tipicamente considerata insostenibile. Un dato che evidenzia una profonda inquietudine motivata anche dalle ultime notizie sul fronte della finanza pubblica locale: dopo la richiesta formale della Comunidad Valenciana, rivela oggi il quotidiano El País, altre sei amministrazioni regionali – Catalogna, Castiglia-La Mancha, Baleari, Murcia, Canarie e Andalusia – sarebbero pronte a chiedere il sostegno del governo centrale. In totale, le regioni spagnole devono far fronte entro la fine dell’anno a 15,8 miliardi di euro di scadenze con i loro creditori. In Italia, dove il debito pubblico ha raggiunto ormai quota 123% rispetto al Pil (con 85 miliardi di interessi da pagare ogni anno), continua intanto a tenere banco il caso Sicilia. L’isola, notava ieri il New York Times, registrava a fine 2011 un debito complessivo di 7 miliardi di euro con un tasso di disoccupazione al 19,5% (circa due volte la media nazionale) che sale al 38,8% tra i giovani. Non male per una regione che, nota ancora il quotidiano Usa, impiega nella sola macchina amministrativa centrale 1.800 addetti (più dei dipendenti del governo centrale del Regno Unito) oltre a 26 mila guardie forestali contro le 1.500 scarse che presidiano i boschi della British Columbia. Nella giornata odierna, il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha negato l’esistenza di un rischio default per l’isola respingendo anche i rumors relativi ad un possibile commissariamento. Si vedrà.

Grecia – Dalla “Grecia d’Italia” (copyright vicepresidente Confindustria siciliana Ivan Lo Bello) a quella originale: ieri il vice cancelliere tedesco Philipp Roesler ha ribadito che senza il proseguimento di un credibile piano di tagli Atene non beccherà più un soldo. La solita retorica? Più o meno, visto che in uno slancio di franchezza, come ha notato il Daily Telegraph, lo stesso Roesler si è anche spinto a dichiararsi scettico circa la possibilità di un salvataggio greco da parte dell’Europa. Quasi senza accorgercene, insomma, siamo ripiombati nell’ipotesi del “Grexit”, la temuta, eppure nuovamente in auge, ipotesi di abbandono ellenico dell’eurosistema. Oggi, il deputato tedesco della Csu (il partito bavarese gemello della Cdu) Alexander Dobrindt ha suggerito pubblicamente ad Atene di iniziare a pagare metà delle pensioni e dei salari dei dipendenti pubblici in dracme, mentre domani inizierà la missione dell’Fmi nella capitale greca.

Bce, Esm e dintorni – In questo panorama generale di notizie sconfortanti emerge però il fattore decisivo rappresentato dall’immobilismo della banca centrale europea. Ad un mese scarso di distanza dall’ultimo vertice del 28-29 giugno, il piano di difesa europeo basato sull’utilizzo dell’Esm ha già perso tutta la sua credibilità. Un po’ per i legittimi dubbi sulla sua effettiva efficacia (in campo ci saranno comunque risorse limitate) un po’ per il diffondersi di un clima di rifiuto che ne mette a rischio l’implementazione visto che ai malumori di Olanda e Finlandia (che da sole non hanno la possibilità di bloccarne l’iniziativa) potrebbe aggiungersi a settembre il possibile ‘nein’ della Corte Costituzionale tedesca che costringerebbe la Germania a ritirare la propria adesione al progetto esprimendo, in qualità di primo contribuente di Eurolandia, un vero e proprio veto de facto. Oggi, intanto, il governo di Madrid ha rotto ogni indugio invocando l’intervento della Bce sul fronte dei titoli di Stato. Un appello quasi disperato che si spera possa convincere l’Eurotower a rimettere mano al portafoglio per avviare una massiccia campagna acquisti di Bonos e Btp.  

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